Precario è bello!

 

 

Aurelio Di Matteo

Ma che simpatici docenti, prodighi di buoni consigli, questi nostri Ministri, fino a ieri assisi su prestigiosi e ben remunerati Consigli di amministrazione di Banche, Società, apparati statali o cattedre universitarie! I nostri giovani – ma anche i meno giovani – devono essere loro grati perché, finalmente, hanno appreso che il contratto a tempo indeterminato è “monotono” (Monti) e laurearsi a ventotto anni è da “sfigati” (Martone). Quei medici, quegli insegnanti e quelle centinaia di migliaia di non più giovani precari che da qualche decennio prestano la loro opera con contratto a tempo determinato, quasi sempre sottopagato, spesso in nero, ora devono essere contenti perché hanno scoperto che la precarietà lavorativa è molto “stimolante”, vivacizza l’esistenza, consente di farsi subito una famiglia, rende liete le ore della giornata, riempie di sogni beati le notti. Ora non c’è necessità di stare in ansia per il futuro incerto se si perde il lavoro, se un’azienda chiude i battenti. Anzi per ridarsi una motivazione è preferibile licenziarsi perché, parola del prof. Monti, “è bello cambiare e accettare delle sfide”. Dopo un periodo di lavoro precario, scelto tra tante possibilità e diventato ben presto monotono, non c’è da preoccuparsi: un’altra ampia gamma lavorativa si offre alla nostra scelta per stimolare la creatività e il rinnovato impegno. Tutto vero! Peccato che la prospettiva decantata e suggerita dal prof. Monti esiste nel mondo dei sogni e non in un Paese che, dati ISTAT, registra il 30% di disoccupazione al di sotto dei trentaquattro anni e che si avvia sulla strada di una forte recessione.  Peccato che giovani e meno giovani, se sostenuti da qualche santo in Paradiso siano riusciti a occuparsi, da molti anni si sono già adattati a un lavoro precario, tanto che ormai è diventato una costante. E fortunati quando la precarietà non si coniuga con il sommerso e la clandestinità. E per intanto il nostro sobrio premier sarebbe stato più credibile se avesse prioritariamente dato l’esempio rinunciando al suo “posto fisso”, quello di Senatore a vita, che si affrettò ad accettare in gran fretta e a conservare con altrettanto zelo senza ombra di monotonia. Il sobrio “consiglio” di Monti giunge a ruota dell’altro Ministro Martone. La laurea conseguita a ventotto anni è da sfigati. Meglio un diploma, magari tecnico o professionale. Giusto consiglio! Peccato che la realtà sia un po’ diversa. Anche senza essere sfigati, una laurea conseguita a ventitré anni, magari con qualche master, una buona conoscenza di più di una lingua e competenze informatiche costituiscono le referenze richieste per l’offerta, comparsa qualche giorno or sono sul web, di un lavoro precario a breve termine in un call center, per la stratosferica retribuzione di 400 euro il mese. Come si vede le due sobrietà si sostengono a vicenda! È prospettiva motivante e allettante per chi si iscrive all’Università, quella di essere “secchione” con l’obiettivo di una laurea conseguita nei termini con lode e un eventuale lavoro precario con tale lusinghiera retribuzione? Certo il ministro ha tutti i titoli per dare simili giudizi: a 23 anni è dottorando, a 26 ricercatore di ruolo, a 27 professore associato e a 29 professore ordinario. È una carriera incredibile con riferimento ai tempi medi che occorrono nelle Università italiane dove l’età media per diventare ricercatore è di 35/36 anni e dove, spesso, se qualcuno vuole davvero fare ricerca, deve rassegnarsi a emigrare. A meno che, come riferiscono gli insospettabili Espresso e Il Fatto Quotidiano, non ci sia stata la spinta di un propulsore di missile in tasca. Ha ragione quando esalta i “secchioni”, perché è un invito sacrosanto a privilegiare lo studio; ma sarebbe stato più credibile se avesse aggiunto che lo studio e la preparazione non bastano se mancano alcune “condizioni”, quelle che egli ha trovato per nascita e per collocazione sociale e che in gergo comune sono chiamate “familismo accademico o sociale”: genitore Avvocato generale in Cassazione, ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, presidente della Commissione giudicatrice del suo Concorso a Pisa, e prima in altra sede, il professor Persiani quello che, anni prima, “gli aveva chiesto se voleva lavorare all’Università e la mattina alle sette lo aveva convocato”. E, come riferiscono i media della carta stampata, i rapporti tra il prof. Persiani e cotanto genitore “sono da sempre ottimi”. Per un giudizio sul Ministro a noi basta il giudizio che fu espresso su di lui da membri di quella commissione, che qui sintetizziamo sinteticamente con un benevolo “non ancora maturo”. Aggiungiamo soltanto che l’improvvisazione e l’estemporaneità forse sono da esercitare nelle aule delle attuali Università non certo in un Governo che dovrebbe operare in un Paese di disoccupati con la triste prospettiva di esserlo a tempo indeterminato.