Montesano sulla Marcellana chiama Barletta: Sos lavoro nero

      Ieri è iniziato il processo d’appello per l’attribuzione delle responsabilità conseguenti all’incendio del materassificio Bimaltex di Montesano sulla Marcellana, che nel luglio del 2006 costò la vita a due operaie in nero del nostro comprensorio territoriale, Giovanna Curcio ed Anna Maria Mercadante. Oggi è tanto vivo in noi lo sconcerto per la morte di altre quattro omologhe  lavoratrici, seppellite pochi giorni fa da cumuli di macerie a Barletta, che appare fondamentale andare più in là dell’emotività del momento, per trovare strumenti di azione che vadano oltre i giorni del dolore, delle lacrime, della costernazione. Muore chi lavora di lavoro nero e si va avanti fino alla prossima strage, come se fosse impossibile prevederla ed evitare altri morti. Il silenzio della rassegnazione ci toglie le parole e la forza di agire, quasi che il lavoro nero fosse un evento naturale, un cataclisma le cui conseguenze dobbiamo sopportare perché imprevedibili. Appare, quindi, indubbiamente appropriato il manifesto predisposto dal Comitato nazionale Se non ora quando sulla strage di Barletta che, intitolato “5 donne normali sotto le macerie di un Paese anormale”, sottolinea le responsabilità collettive di quest’Italia che copre le illegalità e le fa diventare normalità. Tanto che sembra ineludibile il destino dei nostri imprenditori che, non riuscendo o non volendo stare in regola sul mercato, impongono alle proprie maestranze condizioni di lavoro non consentite dalle norme. Altrettanto inevitabile appare il ricorso a operai/e che per vivere devono in qualsiasi parte d’Italia sottostare al ricatto “o si lavora così o niente”. Ma non è egualmente irrimediabile che le istituzioni deputate ai controlli non conseguano su tutti i fronti risultati positivi per il debellamento del lavoro nero. Nell’immediatezza del rogo di Montesano sulla Marcellana mi sono ritrovata a partecipare a più iniziative pubbliche, perché avevo aiutato la consigliera di parità della Provincia di Salerno, l’avv. Lucia Senese, a chiedere la costituzione di parte civile del suo ufficio nel relativo procedimento giudiziario, istanza peraltro respinta nell’udienza preliminare. A Contursi mi sono imbattuta in un ispettore del lavoro, che confessava ingenuamente che i  suoi colleghi arrivavano a tragedie già avvenute; a Pertosa un consigliere regionale invitò le persone a conoscenza di imprese in nero a denunciare tali realtà; a Campagna un ministro, in presenza di un procuratore della repubblica, si dichiarava fiducioso sulla attribuzione delle responsabilità penali per la morte delle due operaie valdianesi. Ma tutto ciò non  significava abdicare, o peggio, rinunciare a pensare che le norme a tutele dei lavoratori dovessero essere applicate punto e basta, o, come si dice oggi, senza se e senza ma? Ogniqualvolta lo Stato ricorra alla magistratura per risolvere tali questioni, c’è molto che non va e allora la domanda sorge spontanea: perché condannare il responsabile delle tragedie e non evitare che esse accadano? Può definirsi un Paese normale quello che si accontenta di onorare i morti e non difendere i vivi? C’è un sistema di controlli, ci sono istituzioni deputate ad essi, ci sono norme che agiscono da deterrente alle illegalità, eppure, non ci sono se è vero che si muore, oggi, nel 2011, come si moriva nel secolo scorso. La mamma di Giovanna Sardaro, una delle vittime della tragedia di Barletta, pur nel tremendo dolore per la morte della figlia, ha usato parole di buon senso: “la colpa non è di quei poveri signori che le davano da lavorare e che ora piangono qui insieme a noi (n.d.r. sotto le macerie del laboratorio tessile è stata ritrovata anche la figlia dei titolari dell’azienda); la colpa è di chi doveva controllare e non l’ha fatto, di chi viene pagato per far esistere e rispettare la legge e se n’è fregato…noi siamo povera gente e ora ci hanno rubato anche il sorriso che forse era l’unica ricchezza che avevamo”. Di fronte a questa verità disarmante non ci sono parole se non quelle di chiamare tutti ad un senso di responsabilità nuovo, perché ognuno di noi deve sentire dentro di sé l’esigenza di concorrere al debellamento del fenomeno del lavoro nero, compatibilmente con le proprie capacità e possibilità. Dovremmo contribuire congiuntamente alla nascita di un senso civico nuovo, che consenta di farci sentire tutti insieme soggetti attivi di una collettività, parte fondamentale e fondante di un Paese normale per tutti/e.

Maddalena Robustelli