Campania da cambiare per non morire

Giuseppe Lembo

La Campania ed in modo particolare il napoletano vive in una condizione di grave crisi permanente dal punto di vista antropologico e sociale. Si tratta di una sofferenza diffusa e ben visibili che colpisce ampi strati della popolazione, al cui interno persistono i comportamenti di sempre, improntati alla rassegnazione, al fatalismo, al non c’è niente da fare, al “così è” ed al “così deve andare”. Per salvare la Campania e la sua gente, bisogna cambiare; occorrono cambiamenti profondi e radicali; occorre invertire la rotta; occorre una rivoluzione culturale diffusa che faccia maturare la gente, rendendola protagonista attiva della propria vita e non solo e del proprio futuro. Solo con la crescita culturale si può recuperare il senso comune del “non c’è niente da fare”. La Campania ed in particolar modo il napoletano, deve cambiare; deve cambiare per non morire; deve cambiare per impossessarsi di mondi vitali più a dimensione umana. La Campania e soprattutto Napoli ed il suo hinterland per troppi lunghi anni ha vissuto male; ha vissuto in modo poco responsabile e per niente attenta a costruirsi il futuro che dipende dalle azioni virtuose della gente che lo deve saper pensare da protagonista. Occorre cambiare; occorre dare a tutti quel necessario “ossigeno di vita”, che manca ai più, per cui è diffuso il senso della disperazione e della mancanza di fiducia nei confronti del proprio futuro. Ciascuno deve poter saper dare un senso alla propria vita; purtroppo, questo manca e crea sofferenza; oltre a creare sofferenza crea anche indifferenza per l’insieme sociale e per il senso stesso della nostra storia che non riesce a produrre appartenenza e quello scatto di orgoglio che serve ad evitare il declino dovuto ad assenza di meritocrazia, ad una scuola che non produce saperi, alla mancanza di ricerca ed alla debolezza di un’economia da sussistenza, assolutamente incapace di crescere, per assoluta mancanza di protagonismo del fare. La Campania manca ed è questo, un grave danno, quel necessario approccio critico alle idee ed alle persone. In Campania, più che altrove,  si respira il clima irrespirabile da armate contrapposte che possono portare solo al declino e non trovare concrete ed utili soluzioni ai tanti problemi della società. Siamo di fronte ad una grave patologia umana e sociale insieme; siamo ad un sistema malato assolutamente difficile, se non impossibile da sanare. L’attuale polarizzazione del pensiero, ridotto a pure sceneggiate da cortile, con assoluta mancanza di coscienza civica, fa di Napoli e della Campania una terra sterile, fortemente mortificata da uno scontro privo di idee che non porta da nessuna parte. Manca il pensiero critico; manca, soprattutto, il protagonismo di chi si compiace di vivere da cortigiano borbonico, indifferente a tutto quello che succede attorno, compresi i disastri umani che ogni giorno si osservano, ma che ci si compiace di dimenticare. Questa è Napoli e la Campania; questa è la sua gente. Che fare? Non c’è da stare allegri; non è facile cambiare. Ma se non si cambia, si muore. Ed allora, tutti insieme, dobbiamo saperne prendere coscienza e con un unanime sussulto di orgoglio, riprendere quel senso di protagonismo che fa scattare dentro la molla del cambiamento per non morire. Cara Napoli, cara Campania, siamo in pochi ad essere consapevolmente uniti, per la missione del cambiamento, anche se tutto ci fa credere che si tratta di una missione impossibile; il nostro coraggio, la forza dell’insieme sociale ci permetterà quel miracolo del nuovo da tanto e da tutti atteso. Il primo grave problema campano da superare al più presto è il diffuso degrado culturale; c’è una condizione diffusa di non cultura che impoverisce all’inverosimile la società e tutti i suoi componenti. Una società senza cultura, è una società dal futuro negato. È, purtroppo, il caso della Campania, dove la mancanza di cultura fa irrimediabilmente arretrare tutta la società che soffre in solitudine, intristendosi giorno dopo giorno, con conseguenze gravi per tutti i suoi cittadini, sempre più soli con se stessi e senza quell’orgoglio dell’appartenenza che serve per pensare positivo e crescere insieme.