Giro di vite Ue sulle frodi carosello

 Accolta dalla Ue, la richiesta italiana  che prevede  l’applicazione dell’inversione contabile (reverse charge) ai fini Iva con riguardo al mondo della telefonia cellulare. Tagliati fuori dalla novella  i computer ma, rispetto alla previsione iniziale, sono stati inseriti i dispositivi a circuito integrato, ossia microprocessori e unità centrali di elaborazione prima della loro installazione nel prodotto finito, anche se utilizzati in altri apparati.Tutto questo  per  porre un freno  al fenomeno  conosciuto come “frodi carosello” , perpetrate tramite le ormai conosciute  società cartiere, perchè esistenti solo sulla carta. Il fenomeno delle frodi IVA è molto diffuso in Italia e si sostanzia in una catena di transazioni commerciali tra soggetti stabiliti in diversi Stati dell’Unione Europea nella quale si interpone un soggetto fittizio (“cartiera”) che acquista beni da un soggetto estero per poi rivenderli sul territorio nazionale, omettendo di versare all’Erario l’imposta addebitata in rivalsa al cessionario, sfrutta essenzialmente il meccanismo connesso al regime transitorio di imposizione Iva nel Paese di destinazione previsto dal decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427 e mira ad ottenere un’indebita detrazione o rimborso dell’iva, anche se non versata. La denominazione trova origine proprio in ragione del moltiplicarsi dei passaggi, molto spesso meramente cartolari, tra soggetti diversi. Per effetto di questa espansione polverizzata  , i controlli diventano più difficili e, conseguentemente, difficili divengono le ricostruzioni del circuito fraudolento teso ad occultare la connessione diretta tra la cartiera ed il cessionario effettivo. Il sistema coinvolge almeno tre soggetti passivi di imposta e si basa sull’interposizione tra il cedente ed il reale cessionario di un soggetto artatamente costituito al solo scopo di acquisire cartolarmente le merci (missing trader). In genere accade che il trasporto dei beni ed il regolamento delle transazioni avviene direttamente tra il fornitore comunitario e il soggetto interponente. L’interposto, all’atto della rivendita, non versa l’Iva all’Erario, guadagna una piccola provvigione come compenso per l’attività svolta e scompare entro pochi mesi dall’inizio dell’attività per eludere i possibili controlli dell’Amministrazione finanziaria. Il comune presupposto delle tante varianti dello schema su esposto è rappresentato dall’acquisto della merce da parte del soggetto che realizza la frode senza che vi sia un effettivo esborso di Iva. Alla perdita finanziaria per l’Erario si associa anche i risvolti che incidono sulla leale concorrenza economica. In effetti, il cessionario (vero deus ex machina  dell’operazione), per effetto del minor prezzo pagato rispetto a quello “normale” di mercato, è in grado di vendere il bene ad un importo notevolmente più basso rispetto ai suoi concorrenti (al limite scontato dell’intero importo di Iva evasa) espandendo rapidamente la propria quota di mercato a detrimento degli operatori virtuosi. Uno degli strumenti utilizzati per contrastare le frodi all’Iva comunitaria è dato proprio dal meccanismo del Reverse charge, ovverosia dell’inversione contabile, previsto dall’art 17 comma 6 del DPR 633/1972. La disposizione, già introdotta per i cellulari dal legislatore nel nostro ordinamento fiscale, ma non ancora operativa perché subordinata a uno specifico intervento comunitario, ha avuto il via libera parziale dall’Ecofin il 19 ottobre ma entrerà in vigore non prima del 2011. Primariamente ha l’obiettivo della salvaguardia dell’introito fiscale, il quale viene versato dallo stesso soggetto che detrae l’imposta (l’acquirente) piuttosto che da un cedente che potrebbe scomparire senza versare l’IVA dovuta. In altre parole, il soggetto debitore dell’Imposta sul Valore Aggiunto non è più il soggetto passivo che effettua una cessione di beni (regola generale) ma il soggetto passivo che acquista. Obiettivo della su citata deroga richiesta dalla Germania, dall’Italia e dall’Austria (nel Regno Unito è già in vigore) è rendere debitore dell’IVA il soggetto passivo a cui si effettua la cessione, ma solo a determinate condizioni e unicamente per determinati prodotti, in particolare telefoni cellulari e dispositivi a circuito integrato, nonché alcuni prodotti correlati. L’unica differenza, rispetto all’Austria, Germania e Regno Unito, è l’assenza, per l’Italia, di una soglia all’applicazione dell’inversione contabile. Mentre per i Paesi su citati l’obbligo scatta solo per le transazioni non inferiori a 5mila euro e pound – così configurando una misura principalmente volta a colpire le transazioni all’ingrosso – per il nostro Paese non è stato previsto alcun limite, talché si potrebbe configurare un’applicazione del sistema anche alle cessioni al minuto. Il rischio è che possano essere oggetto di inversione contabile obbligatoria anche innocue transazioni di ammontare irrisorio.

Umberto Pompeo