Salerno: VIII^ ediz.Festival Internazionale “Piano Solo”

Il magistero di Pier Narciso Masi sarà ospite venerdì 12 novembre, alle ore 19, del cartellone l’VIII edizione del Festival Internazionale Piano Solo, promosso dal pianista Paolo Francese, sotto l’egida del Comune di Salerno,  con la collaborazione di Alberto Napolitano Pianoforti, e il contributo della Pisano Ascensori, nella abituale cornice del Salone dei Marmi di Palazzo di Città. La prima parte della serata sarà interamente dedicata a Wolfgang Amadeus Mozart, con l’esecuzione delle Sonate in Do Maggiore KV 330 e KV 521. La prima è la celebre “parigina” n°2, composta nel luglio del 1778, le cui caratteristiche sono la semplicità, la leggerezza e il candore, categorie attraverso le quali si affida a leggere operazioni di richiami musicali e di ripiegamento intimistico. La seconda è l’ultima delle composizioni per pianoforte a quattro mani scritte dal genio di Salisburgo, che fu concepita nel maggio del 1787, sotto l’egida del “Don Giovanni” che iniziava a vivere proprio in quella primavera e per la quale Pier Narciso Masi sarà affiancato da Alessandra Giovannotti, andando a comporre il Tora Duo. Sarà proprio nell’Andante, dal carattere di romanza appassionata e sognante, che sarà possibile riconoscere i fermenti dei coevi quintetti per archi, e l’estetica chiaroscurale del Don Giovanni. La seconda parte della serata verrà inaugurata con i Papillons op. 2 di Robert Schumann, datati 1830. Il titolo significa brani graziosi, gentili e l’ispirazione è in parte letteraria: Schumann guarda infatti all’ultimo capitolo di Flegeljahre di Jean Paul Richter “La danza delle maschere”. Papillons è una raccolta di dodici miniature, durante le quali si alternano a brani “oggettivi”, che sembrano alludere al fragore gioioso e collettivo del ritrovo mascherato, brani “soggettivi”, nei quali si consuma il piccolo dramma. Dopo un brevissimo prologo di sapore interrogativo, che richiama l’analogo attacco interlocutorio della Ballata n°1 di Chopin, ecco la prima danza, gentile ed elegante, cui segue un brano impetuoso e parlante; nel quarto torna in primo piano la festa, ma col quinto incontriamo una gemma dell’ispirazione schumanniana, una melodia ripiegata di infinita dolcezza, segnata da un andamento circolare, una melodia che, dopo essersi espansa, torna timorosa su se stessa, quasi a parlarci di speranze, di delicate illusioni. Il sesto pezzo, abilmente alterna il piano soggettivo e quello oggettivo, primo piano e sfondo, ottenendo un effetto che potremmo dire cinematografico: in evidenza il dramma dei personaggi, sul fondo l’orchestrina che esegue una danza. Con il settimo, ancora un incantevole soliloquio, un parlare tra sé; poi, finalmente, nel decimo, ecco levarsi un canto rivelatore, una voce che parla, cui segue un brano tripartito e nettamente diviso tra una prima (e terza) parte esultante ed una sezione centrale patetica, singhiozzante; è, forse, la presa di coscienza del “verdetto”. Il finale si apre su di un tema quasi di fanfara, gioioso, per poi ritornare al tema della prima danza che va frantumandosi in una miriade di ripetizioni; in un’atmosfera sempre più rarefatta risuonano, al registro acuto, sei rintocchi; l’agitata notte va terminando in un attonito silenzio. Schumann sembra aver abbandonato anch’egli la festa con il perdente. Un allievo di Ludwig Van Beethoven racconta che un pomeriggio del 1804 il Maestro era rientrato dalla solita passeggiata nei pressi di Döbling canticchiando e borbottando qualcosa d’indecifrabile, una sorta di ribollio continuo e sommesso; giunto in casa, senza togliersi nemmeno il cappello, Beethoven si era diretto al pianoforte, sul quale era restato curvo un paio d’ore a cercare sui tasti l’idea di quel mormorio inarticolato: e quando, alzatosi, aveva sorpreso l’allievo seduto in un angolo, lo aveva spedito a casa senza tante scuse: “Oggi non c’è lezione, ho ancora molto da lavorare!”. Stava nascendo la Sonata per pianoforte op. 57 in Fa minore “Appassionata”, con cui Pier Narciso Masi si congederà dal pubblico salernitano. Qui Beethoven si abbandona completamente, la tempesta spazza incessantemente la pianura, è come una Fantasia, in cui tutte le forze si scatenano. Solo l’ascoltatore cosciente e riflessivo avverte anche qui la mano dominatrice, che si impone sull’infuriare selvaggio dei passaggi e sull’ampio arco delle melodie. In entrambi i movimenti estremi, tutti i temi sono in minore, con la sola eccezione di quel tema secondario del primo tempo sviluppato dal tema principale. Dopo questa ossessione del tono minore, giunge splendida la solenne quiete del movimento centrale, le cui Variazioni dimostrano quanto possa essere ispirata una pura figurazione. Ma la maggiore meraviglia dell’opera è sempre l’Andante con moto in re bemolle, variazioni su un tema che non ebbe altri esemplari della sua specie, né prima né dopo, una creazione che, nonostante la sua efficacia spirituale, sgorga incomparabilmente  e il cui segreto consiste nell’incredibile maestria con cui, dagli elementi primordiali dell’armonia, si sviluppa una vera “Forma”, la cui maestà si impone anche su tutte le sfuriate demoniache dei due tempi estremi.