Veli pubblici e privati

Ferdinando Longobardi

 Due persone si presentano a una trasmissione televisiva specializzata in storie vere, una di quelle per intenderci che gettano sul palcoscenico salottiero e tribunizio del piccolo schermo contese matrimoniali, screzi condominiali, disavventure derivanti dal traffico, liti tra amici ecc.; tutti quei casi sociali insomma che, come ha dichiarato un illustre esponente della fascinosa psicologia via etere, costituiscono davvero degli effetti inquietanti del malessere e del disagio. La prima accusa che la signora G. rivolge al signor E., dinanzi a circa un milione di teleutenti, è la seguente “Tu sei stato davvero villano! Mentre eravamo in treno e stavamo arrivando qui a Milano per presentarci nello studio televisivo ed esporre le nostre vicende, hai avuto l’arroganza, la spudoratezza di urlare i motivi della nostra lite, facendoli sapere a tutti i presenti. È una vera indecenza!”. Si tratta dunque di un’infrazione non al codice della discrezione, il quale prevede che i fatti delicati non vengano dichiarati di fronte ad astanti potenzialmente curiosi ovvero privi di interesse, bensì di un’infrazione al codice dell’indiscrezione, secondo il quale i fatti in questione, più sono delicati più vanno strillati in pubblico purchè il pubblico sia quello televisivo, il quale gode di un particolare statuto rituale evidentemente assente nelle persone incontrate in treno. Le persone, una volta poste di fronte alle telecamere, acquistano uno status rituale che è del tutto assente nel corso della vita comune. L’intimità, la quale normalmente si sottrae all’osservazione altrui, ha assunto il regime della visibilità e molte trasmissioni televisive la pongono al centro dei propri interessi. Ci avviamo verso una società – meglio, ci siamo già dentro – dove non esisteranno più zone protette, angoli di ombra, attività umane o sofferenze umane sottratte allo sguardo collettivo. Che è sguardo impudico. Non dico che sia un bene, dico che sembra, purtroppo, inevitabile.