Sud Amaro

Giuseppe Lembo

Il Mezzogiorno d’Italia e con il Mezzogiorno d’Italia tutti i Sud del mondo, si allontanano sempre più dalle possibili e necessarie prospettive di cambiamento e di sviluppo. Nel nostro Paese le due Italie sono sempre più lontane l’una dall’altra. La situazione, per altro patologica e di lunga data, è giunta da un punto di non ritorno. È grave! È pericolosa, non solo per il Sud, ma per l’intero Paese, sempre più diviso in due. Le differenze sociali, culturali ed economiche tra il Nord ed il Sud del Paese sono sempre più marcate e sotto gli occhi di tutti. Che fare? Non è certamente opportuno, da parte di tutti, far finta di niente. Si tratterebbe di un comportamento irresponsabile e dalle conseguenze gravi per il Paese Italia. Cambiare si può! Cambiare si deve! Prima di tutto bisogna cambiare e da subito i veri responsabili del profondo malessere umano, sociale ed economico in cui è precipitato il Sud. Bisogna saper dire basta e togliere la spina per quella classe dirigente e quella burocrazia melmosa ed inconcludente che per decenni hanno goduto familisticamente per sé e per i clan familiari ed oltre, i privilegi dello sfascio. Alla loro irresponsabile presenza ed azione ininterrottamente distruttiva, bisogna porre ed in fretta la parola fine, eliminando con forza le cause di una immoralità diffusa e la convinzione comune che attraversa l’intera società civile, che non c’è lo Stato, che è giusta la presenza invadente dell’antistato e che non c’è niente da fare per cambiare il Sud. La gente è rassegnata; ma nella rassegnazione, usa ed abusa, creandosi per proprio conto nicchie di sopravvivenza non sempre trasparenti e/o legali. La gente egoisticamente vive per sé; si fa male e fa male agli altri, con la convinzione dentro, che così è e così deve essere. Povero Sud! È ormai precipitato in una condizione diffusa di disagio umano ad un punto tale che nessuno pensa, come possibile, di risalire la china. L’illecito ormai prevale sui comportamenti leciti. Il popolo ha smesso di avere una coscienza di “popolo”, compiacendosi di vivere nella condizione di plebe che è comune ai più. Mancando la dignità sociale della persona, c’è un rivendicazionismo basato sempre più sui diritti. Pochi conoscono anche la parola doveri; pochi sanno agire per il bene comune e, nel rispetto della propria libertà, rispettare la libertà degli altri. In questo inferno di umanità disumana e di anime sempre più dannate, la quotidianità è rappresentata da una vetrina di malessere e sofferenza, ben promossa, da un comunicare poco autentico, sempre più attento a fare da cassa di risonanza ad un’umanità in crisi, distratta ed assolutamente incerta se non indifferente, di fronte al proprio futuro. Anche il Sud, come il resto del mondo, si trova di fronte a scenari nuovi. Per nessun angolo della Terra e per nessun uomo del mondo, niente è più come prima. Il Terzo Millennio, con il suo camminare insieme, fatto di mondi globali, ha messo e metterà sempre più in discussione, tutto di tutti. Occorre ripensare il mondo e del mondo la vita dell’uomo sempre più di fronte a sfide nuove, sempre più impegnato nel ruolo di protagonista del proprio vivere insieme agli altri. Anche la questione del Sud e le diverse storie del meridionalismo, avranno nuove prospettive. A tutti compete un forte impegno ed un altrettanto forte protagonismo per affrontare il futuro. Nessuno può più pensare che siano gli altri a dover trovare le soluzioni per il proprio modello di vita, sempre più caratterizzato dall’economia globale, del dinamismo del movimento umano e da un meticciato culturale che impone a tutti il rispetto dell’altro e la ricerca di nuovi comportamenti antropici, dove il prevalere, la prevaricazione, l’abuso, deve cedere il posto al dialogo, al confronto umanamente costruttivo, allo spirito della tolleranza e della pace sia sociale che in senso interetnico e razziale. Le ragioni del Sud e dei Sud del mondo, sono da ricercare tutte nel Sud e nei Sud del mondo; si tratta prima di tutto di ragioni antropiche, basate su di un nuovo volere autocentrato sull’uomo e sulla sua capacità di trovare risposte concrete all’interrogativo del “che facciamo”, del dove possiamo andare, appellandoci, in modo forte e centrato al proprio protagonismo, al proprio patrimonio genetico e culturale da cui partire, per essere, insieme agli altri, “altro” e ricercatori instancabili di un mondo nuovo. Per cambiare, per costruirsi il futuro con le proprie mani, la strada maestra, la via obbligata è quella di dare un forte impulso per fare funzionare le istituzioni e di pensare, partendo dal proprio sé, ad un sociale allargato. Per affrontare da protagonisti il nuovo che avanza, il Sud deve ritagliarsi spazi di attivo protagonismo; non deve piangersi addosso; non deve più vivere nella convinzione del così è e del non c’è proprio niente da fare. Così pensando, così disposti alla rassegnazione, non si va da nessuna parte. Dietro l’angolo c’è il suicidio collettivo di una società che non sa essere attivamente società e non sa pensare al proprio futuro. Il Mezzogiorno, il Sud sofferente e dai mille volti, non ha saputo mai pensare positivo; pensare positivo, significa riconoscere le sue potenzialità; le sue risorse; il suo ruolo strategico come avamposto d’Europa nel Mare Nostrum. Il Sud deve attrezzarsi su questi nuovi fronti e lavorando insieme agli altri, in senso solidalmente unitario, pensare all’Europa, al Mediterraneo, all’Occidente ed al mondo globale, dove, con le sue prospettive e le sue risorse, può fare un bel pezzo di cammino insieme al mondo globale, dove non c’è bisogno né di straordinarietà, né di assistenzialismo, ma di intelligente protagonismo ispirato al coraggio ed alla voglia del fare per l’uomo. Il protagonismo del Mezzogiorno, passa necessariamente attraverso il risanamento della società; passa attraverso la centralità dello Stato che non c’è; passa attraverso il pensare positivo ed il protagonismo della gente, del popolo che deve smettere di vivere da plebe. Passa attraverso iniziative e progetti e soprattutto attraverso utili e nuove sinergie tra istituzioni e società, un vuoto grave di cui soffrono i territori e la gente del Sud.