Jambo rafiki. Habari gani? Una giovane salernitana scrive da Bukavu
Finalmente una connessione! E ora che mi trovo qui a poter scrivere, non so cosa dirvi! C’è chi mi dice che più tempo si resta in un posto, più diventa difficile parlare dell’esperienza vissuta! Da qualche giorno sono arrivata a Bukavu; dal 20 agosto fino a fine mese sono rimasta a Luvungi: posso dire che lì ho avuto il primo contatto più “profondo” con la popolazione, con i congolesi e con il lavoro concreto della famiglia saveriana. Penso di aver realizzato di essere in Africa solo dopo un mese dal mio arrivo. Infatti all’inizio non ho avuto un impatto così forte, in positivo o in negativo, con questa terra. E questo perché dopo i primi due giorni già mi sentivo a casa, tutto era “normale”, nel senso di familiare, come se ci fossi dentro da sempre. Non sono passate neanche 5 settimane dal mio arrivo, ma mi sembra di essere qui da mesi. Per me è un grande dono essere qui. Vivo questi giorni come una grande occasione, come una grande possibilità, con serenità e semplicità. Adeguandomi ai tempi: la sveglia è alle ore 5.15; alle 21.30 già sono a letto, distrutta! Adeguandomi al cibo, al kiswahili e al francese, a questa pelle così scura, all’acqua congelata (dove c’è!). A Luvungi e a Bukavu- A Luvungi ero ormai abituata a chi mi guardava incredulo camminare nel suo villaggio; a chi mi sorrideva ogni volta che incrociavo il suo volto; ai bambini che non conoscevo e che mi correvano dietro, mi salutavano e subito dopo mi chiedevano i “bon bon” (caramelle); ai bambini con cui ho avuto modo di creare una minima relazione, che appena mi vedevano in lontananza (il bianco qui spicca facilmente!), mi correvano incontro pronunciando il mio nome – “Marianna, Marianna” – con una “r” marcatissima. Da qualche giorno invece sono a Bukavu. Qui la realtà è diversa: siamo in città. Anche qui ho trovato una calorosa accoglienza. Sono nella casa dei saveriani, ma a fianco c’è la casa delle novizie: sono 6, tutte congolesi, mie coetanee. Spesso sono da loro, parliamo, scherziamo, mi fanno sentire a mio agio. Sono sempre in giro con loro o con le saveriane: rientro con una e subito ri-esco con un’altra… Così imparo sempre meglio il kiswahili. Mi dicono che ho un dono speciale per questa lingua. Spunti dal mio diario Sul mio “diario di bordo”, tra le prime pagine ho scritto: “Perché mi trovo qui in Africa?”. Ancora non ho trovato una risposta, perché non penso più che sia solo un sogno che si è realizzato. E subito dopo mi chiedo: “Ma qual è la mia Africa? Qual è la mia missione?”. È vero, qui mi sento a casa, in famiglia; ma penso tanto anche alla mia terra, alla mia patria, alla mia casa. Penso alla mia quotidianità, alle piccole scelte, ai miei legami, al “cammino” che facciamo insieme nelle piccole e grandi cose. Mi sento fortunata, mi sento grata al Signore. Ringrazio per il dono di voi nella mia vita; ringrazio per le persone incontrate lungo la strada che mi hanno portato fin qui e mi hanno portato a fare piccole e grandi scelte nella mia vita, di cui non mi pento. Ringrazio perché proprio da questo “tanto” che ho ricevuto sento che nasce spontaneo il desiderio, la volontà di essere “strumento”, la voglia di mettermi in gioco, di essere “missionaria” nella mia terra…Le mie …due case Penso all’anno che sta per arrivare, ai programmi, alle cose da fare. Non vedo l’ora di mettermi a lavoro, di metterci a lavoro insieme! Non soltanto è l’entusiasmo di chi sta vivendo un’ “esperienza straordinaria”, ma è un entusiasmo che trova fondamento nella fede, nella fiducia in Dio e nella fiducia verso voi, miei compagni di cammino. È un augurio che faccio, che ci facciamo per il nuovo anno: l’entusiasmo e la passione di essere cristiani! Una parte di me resta qui ancora molto volentieri, ma un’altra parte di me non vede l’ora di rientrare, anche se so che dovrò attraversare il periodo della “nostalgia d’Africa”! Mi sento proprio parte di una “grande famiglia”. Non dimenticatevi troppo di me… Un abbraccio,
Marianna Africola
yoko88@hotmail.it
Bukavu, 7 settembre 2010
PS – Una caccia complicata Ah, vero, dimenticavo gli aggiornamenti sulla “caccia all’uomo nero”! Io sono quasi completamente al di fuori dei giochi. I miei coetanei o sono già sposati e hanno anche figli, o sono fidanzati e promessi sposi, o peggio, vedendomi con le saveriane, molti pensano che io sia una “ma soeu” – una religiosa – e non ci provano proprio a chiedermi in moglie! O ancora, c’è anche chi mi ha chiesto in moglie, ma è già sposato. Io allora sarei la seconda scelta, la seconda moglie e non mi conviene! C’è qualche novizia che mi ha proposto di conoscere i fratelli, ma non so se ci sarà tempo… E sì, cercar marito qua è ancor più complicato che in Italia! Penso che mi toccherà accontentarmi di un semplice “musungu” (bianco)!
cara marianna, mi chiamo anch’io africola, sto cercando le mie radici so di avere a salerno dei procugini io sono nativa di martina franca, mio nonno si chiamava carlo africola spero tu sia una mia parente e se così fosse sono molto onorata per la missione che stai conducendo ti auguro di realizzarti e di essere lì dove ti porta il cuore.
firmato una tua omonima africola marianna
scrivimi su libero .it a
mariannaafricola@libero.it