Medicina Integrata: Caregiver e risposte interiori!

Michele Montuori

Diverse possono essere le nostre risposte interiori nello stabilire o nel ristabilire affetti. Esisterebbero, a riguardo, per uomo e donna, sette tipologie: 1) L’inadeguato (dimostra notevoli difficoltà a relazionarsi con l’altro sesso). 2) Il cercatore di intimità (lo muove una certa solitudine e quindi il bisogno di affetto, di contatto). 3) Il predatore (mira ad avere esclusivamente un rapporto sessuale con la persona che punta). 4) Il risentito (mira ad ottenere giustizia rispetto ad un torto subito). 5) Il respinto (è incapace di interrompere una relazione, e mira sempre a ristabilirne il rapporto, sino a quando, esasperato si “vendica”, abolendola. 6) La medusa (abolita la relazione che ne ha colmato il vissuto, si lancia inizialmente a capofitto in mille soluzioni “alternative”). 7) Il rene (rientra in sè, controcorrente, per ritrovare la propria forza originale, di nuovo il meglio). A tali espressività non bisogna far assumere un dettato persecutorio, visto che in realtà ognuna nasconde una prevalente richiesta di maggior amore. Ci si è interrogati sulle motivazioni che portano a quelle tipologie. Una plausibile spiegazione, che poi permette di comprendere l’intero ciclo di sviluppo dell’individuo (dall’infanzia all’età adulta, con le sue “scelte”), sembra consistere nella relazione di cura, in epoca prenatale, postnatale e durante la prima infanzia, tra il bambino e il padre, sua maggiore figura allevante (caregiver). I teorici di tale attaccamento dicono esservi, a riguardo, quattro diversi modi di amare, di rapporti interpersonali, da parte del caregiver, con conseguenti quattro diverse modalità di espressione degli infanti. 1) Il sicuro (per il fatto che il caregiver comprende i bisogni affettivi e di cura del bambino, ed interviene in sintonia con i suoi ritmi, il piccolo assume una rappresentazione di sè come di una persona amabile e degna di essere aiutata, ed una rappresentazione dell’altro come di una persona disponibile a fornire aiuto quando serve; nell’età adulta, tenderà ad instaurare relazioni basate sulla fiducia, sull’equilibrio delle emozioni e sulla capacità di comprendere lo stato emotivo dell’altro). 2) Il sicuro – evitante (il caregiver non si dimostra disponibile ad accogliere gli stati emotivi del bambino, e manifesta nei suoi confronti un comportamento di rifiuto. Il bambino si forma una rappresentazione di sè come una persona non degna di essere amata e aiutata, ed una rappresentazione dell’altro come di una persona assente e lontana affettivamente ed emotivamente. Nell’età adulta, non si aspetterà aiuto da nessuno: sarà molto efficiente, ma emotivamente freddo, distanziato, come in apparenza). 3) Il disorganizzato (il caregiver non solo non fornisce cure adeguate, ma costituisce egli stesso un pericolo per il piccolo: si tratta di figure allevanti che spesso, a causa di traumi o privazioni importanti, soffrono di ambivalenze più o meno difficili dell’io). 4) L’insicuro – ambivalente (si è in presenza di una figura allevante amorevole, ma percepita come imprevedibile nella disponibilità a fornire cure e protezione. La presunta inaffidabilità del caregiver spingerebbe il bambino – dicono gli psicologi – ad attuare strategie comportamentali tese ad attirarne continuamente l’attenzione: se la rappresentazione dell’altro è quella di una persona inaffidabile, il sè è percepito come vulnerabile, incapace di affrontare le difficoltà. Tali bambini – quelli nei quali è rappresenta tale maggior vulnerabilità – risultano dipendenti e paurosi, ed adottano l’espressione esagerata delle emozioni, quali la collera e la gelosia: strategia privilegiata ed efficace per richiedere un intervento affettivamente risolutivo del caregiver, quasi in una sorta di protesta, per inibire a tale maggior partner affettivo qualsiasi tentativo di allontanamento). In ogni caso, queste due tipologie di suddivisioni risultano secondarie, quando si osservi che in fondo è una silenziosa capacità di sopportazione della vita, con assunzione dei compiti stabiliti nel patto primario unitivo tra genitore e genitrice, senza deviazioni di sorta, a instradare sulla via morale, quella che conta, il bambino.