Estate: spogliati!

Aurelio Di Matteo

Chi l’ha detto che d’estate ci si spoglia per il caldo? È fuor di dubbio che l’abbronzatura sia lo scopo sbandierato da tutti, ma esso serve a camuffare  il vero motivo del piacevole mostrare la nudità. La nudità è il sogno segreto dell’essere umano perché in essa ritrova la purezza etica e il sublime estetico, la spontaneità psicologica e la pienezza dell’arte. E ogni anno che passa la nudità si espande per ogni dove fino a diventare un comune esibizionismo di sé. Durante l’estate il mondo si colora della rappresentazione estetica del corpo senza veli. D’altra parte se ripercorriamo la storia dell’arte, dalla pittura alla scultura, dalla poesia alla narrativa, dal teatro alla musica, non si può fare a meno di costatare che tutti i grandi capolavori hanno trovato valore espressivo nella rappresentazione o narrazione di un corpo svestito. E nella sua contemplazione non c’è il minimo segno di un turbamento visivo o di un vergognarsi morale. Perché mai, oggi, dovremmo provare vergogna che il nudo prorompa per ogni dove? E perché mai dovremmo considerare estetica la sua rappresentazione e non la sua concreta esibizione, il mostrarsi nella fenomenologia dell’apparire come sincerità estetica? Un corpo senza veli è il fascino perenne di un oggetto che più di ogni altro esprime la presenza dell’essere in tutta la sua pienezza, che si fa spazio e tempo nella puntualità e singolarità di un individuo, che si ritrova nel “qui e ora” senza nascondimenti. Esso esprime l’eccitante dramma della vera condizione umana, della sua eterna contraddizione, dell’essere che vive e muore nella temporalità. Da una parte è spontaneità e naturalezza, dall’altra è consapevolezza e ricordo triste dell’originale atto peccaminoso.  Nel quotidiano della vita la bellezza è pur sempre quella delle sfilate di moda, di corpi vestiti e fasciati da stoffe multicolori. Per la comune opinione, che l’artificio sociale chiama “comune senso del pudore”, il corpo è quello che si nasconde dietro a un vestito, una tunica, un pantalone. Per questo gli stilisti e la moda fanno a gara per creare involucri belli ed esteticamente pregevoli. Essi fanno credere che la bellezza sia esaltata o sia tout court nel “vestirsi”. È pur vero che la vestizione dà armonia al corpo e lo colloca nella scala sociale. Estetica e ruolo sociale si fondono e si esaltano sotto le mani esperte dei creatori di moda. Ma la vera bellezza è là, nella nudità di un corpo senza veli. La sincerità dell’essere è nella capacità estetica di spogliarsi. E non è da tutti muoversi e mostrarsi belli nell’atto di svestirsi. La maggior parte delle persone, soprattutto le donne, sanno vestirsi benissimo ma sono goffe e incapaci a spogliarsi. Spogliarsi è più complicato e difficile che vestirsi, perché è espressione della bellezza senza altro da sé e atto di liberazione dalle sovrastrutture etiche. La nascita dell’umano è stato un tutt’uno con la candida nudità; poi fu vergogna, peccato e nascondimento. Nacquero la storia e la bruttura. È nato di conseguenza il vestimento per ridare la bellezza agli umani. Estetica e verità etica, invece, si esprimono nella sintesi della nudità. La nudità come disvelamento del sé non è il quotidiano “scoprirsi” ma l’intimo “spogliarsi”. Ci si scopre da un “panno” che ci copre, ci si spoglia da un “vestito” che ci dà forma! Il vestito riveste il corpo e gli dà forma come espressione che fa apparire il sé, ma a un tempo lo nasconde nel ruolo storico e sociale dell’apparire. L’atto dello spogliarsi significa ripristinare la propria condizione umana senza veli. È la kantiana bellezza senza scopo, quando ogni corpo è bello in sé e per sé. La nudità senza veli è copresenza di bene, verità e bellezza!Nella scultura o nella pittura non c’è corpo umano rappresentato senza veli che non rechi con sé il dono proprio della purezza e della leggerezza morale, sia esso il corpo neoclassico privo di ogni suggestione passionale e tutto racchiuso nell’algido candore o quello romantico, tormentato dall’abbandono e dalla nostalgia, o la corporeità prorompente del realistico alla Courbet così diversa da quella fasciata dalle vibrazioni di luce di un Renoir o da quella definita con tratto nervoso da Toulouse Lautrec o dalle provocazioni destrutturanti di Picasso oscillante tra il razionalismo della cultura occidentale e il primitivismo istintivo e irrazionale che scompagina il tempo e lo spazio della collocazione storica della corporeità. E quando si realizza la pacificazione scultorea di alcuni marmi che levigano corpi androgini la nudità esteticamente raggiunge il sublime e restituisce all’uomo la sintesi armonica della sua origine.