Vietri Sul Mare: a Villa Guariglia, le Troiane di Euripide

 Non solo musica in questa edizione dei “Concerti d’Estate”, organizzati con il contributo della Provincia di Salerno,Comune di Vietri sul Mare, della Regione Campania Assessorato Agricoltura, della Camera di Commercio di Salerno,  del Centro Studi Salernitani “Raffaele Guariglia”, della Fondazione Cassa di Risparmio Salernitana, dell’Ept di Salerno, del Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno e con il patrocinio della Coldiretti e dell’Enoteca provinciale di Salerno. E’ il territorio, con il suo ricco bagaglio culturale, al centro del cartellone di questo festival che ha dedicato la sezione teatrale a Luciana Medolla, presidente dell’Associazione Teatrale Campania Grandi Classici di Salerno, scomparsa da qualche anno. Con lo spettacolo proposto dalla Compagnia Scenidea, “Le Troiane”, su elaborazione ed adattamento di Antonella Parisi e la regia di Paolo Lista, che domenica 25 luglio, ore 21 (ingresso 10 euro) a Villa Guariglia ci sarà la serata in ricordo di Luciana Medolla, organizzatrice della rassegna “Incontri con il teatro classico”, introdotta dal grecista Luigi Torraca.  Nel 415 a. C. Euripide conclude, con Le Troiane, la sua trilogia di argomento iliaco. Nelle Troiane rivivono le ultime ore di Ilio, ormai distrutta dalla furia dei greci, attraverso le sofferenze delle prigioniere troiane e di Ecuba – regina caduta dallo scranno regale che, abbandonata sulla sabbia davanti alle tende delle prigioniere, attende miseramente la sua sorte di schiava. E’ l’araldo Taltibio che annuncerà le destinazioni e le ultime gravi disgrazie che toccano la famiglia della regina. Si assiste al delirio di Cassandra, giovane figlia di Ecuba e profetessa di Apollo: vergine sacerdotessa che verrà presa da Agamennone come concubina. Si vedrà Andromaca nel suo lacerante dolore per l’uccisione di Ettore, suo marito, e nella straziante scena con il figlioletto Astianatte che Taltibio le porterà via per lasciarlo gettare dalla torre più alta Ilio. Arriva, poi, l’incontro tra Menelao ed Elena la quale tenterà di difendersi strenuamente, ma che non potrà reggere all’arringa di Ecuba. Ed infine, di nuovo Taltibio, con il cadavere di Astianatte, amorevolmente pulito e composto dallo stesso araldo greco: l’ultimo incontro tra Ecuba e il nipote in una monodia dove si fondono dolcezza e rassegnazione, poesia e rabbia. E poi la fine: il boato tremendo di Troia che crolla nell’ultimo micidiale incendio appiccato dai Greci prima di salpare, il volto folle e disperato di Ecuba, il pallore e la morte sul volto delle Troiane e l’aria e il cielo ormai tinte di rosso. Ad Ecuba non sarà permesso neanche di gettarsi tra le fiamme: insieme alle altre donne troiane, sarà deportata verso la schiavitù.  Le letture sono molteplici. E’ un testo ricco di significati e traboccante di emozioni. Non sono affatto d’accordo con alcune precedenti interpretazioni che vedevano in questo lavoro un’eccessiva frammentarietà, quadri autonomi che ruotano intorno al dolore di Ecuba. Interpretazione, questa, derivata sicuramente da un forzoso imbrigliamento di tutti i tragici greci nello schema aristotelico della tragedia, rigidamente interpretato. E’ il tema di una volontà cieca che polverizza ogni esigenza umana di un ordine morale, ma anche quello dell’affannosa ricerca di un dio che si affermi al di sopra delle disgrazie umane per compensare l’infelicità degli uomini. E’ il tema contro le guerre, già espresso da Euripide nelle Supplici e in alcuni precedenti drammi perduti quali l’Eretteo e il Cresfonte, ma anche quello dell’esaltazione dei valori umani, come la coerenza, il coraggio, l’eroismo. E’ ancora il tema della disperazione che fa invocare la morte come liberazione e preferirla alla vita, ma subito ecco il suo contrario: nella vita c’è sempre la speranza; nella morte, più nulla. E’ il tema della precarietà della giustizia umana: la condanna di Elena da parte di Menelao ha più il sapore della vendetta, dell’esempio da additare al popolo che quello dell’autentica giustizia trascendente l’umano. Ed è, infine, il tema della pietà di cui l’uomo è capace, malgrado le atrocità e le nefandezze di cui sa macchiarsi. Ma c’è un’ultima trama che percorre tutta l’opera e che la rende solida e unitaria: è il senso tragico della vacuità delle cose umane. Siano essi vinti, o vincitori, nulla è mai definito. Solo quattro donne in scena per questo allestimento dell’opera euripidea, per la regia di Paolo Lista, Antonella Parisi, infatti, autrice dell’adattamento, o forse sarebbe meglio riscrittura, interviene sul testo originale di Euripide, con un’operazione di grande modernità ed intelligenza: elimina il Coro ed i personaggi maschili e tiene in scena, fin dall’inizio e contemporaneamente, solo Ecuba (la stessa Antonella Parisi), Cassandra (Fulvia Fasano), Andromaca(Antonetta Capriglione) ed Elena (Melissa di Genova, in modo da creare un dialogo dove ciascuna di esse possa lasciar emergere le diverse ragioni del suo dolore e, nel caso di Elena, il suo doppio ruolo di vittima e carnefice, causa della sciagura e prigioniera essa stessa di un destino che ha contribuito a creare. Paolo Lista, regista dello spettacolo, immerge le quattro donne in un’atmosfera di attesa soffocante, in un ambiente che è al tempo stesso antico e moderno, simbolo di una tragedia distante eppure fin troppo contemporanea, quasi immobile nel suo eterno ritorno. E così lo stesso Cavallo di Troia , gigantesco dono di morte, non può far altro che trasformarsi in un cavallo delle giostre, uno dei tanti giochi infantili che la Storia dissemina lungo il suo percorso di morte e di dolore, tanto per far divertire gli uomini ad uccidersi l’un l’altro. Lo spettacolo vive della bella prova delle quattro attrici ma soprattutto vive di parole, di azioni, di silenzi che restano sospesi nell’aria come i brandelli di tessuti infilati nella rete che chiude la scena sul fondo, quegli stessi brandelli bianchi e immacolati che, con una splendida idea registica, le donne immergono in una tinozza d’acqua limpida per estrarli rossi di sangue e appenderli così, grondanti dolore, alla rete della loro prigione. Una prigione che è innanzitutto simbolica, conseguenza della loro condizione di donne che hanno perso i loro uomini, le loro case, le loro famiglie, che hanno perso tutto tranne la dignità. Ed è qui,nel dolore senza scampo, nella cupa sofferenza di chi sa che non ci sarà più spazio per alcuna gioia, che le quattro Troiane, così indifese,così deboli, sconfiggono i loro vincitori. Nel dolore che le avvicina alla comprensione della vita che,come la guerra, non conosce vincitori ma solo sconfitti.