Storie vissute…Francesca racconta la sua vita col cancro

Rita Occidente Lupo

Un’ amplificazione del dolore di tante donne, che lottano ogni giorno con la sofferenza, col cancro. Molte dovranno lottarci per tutta la vita. L’esperienza di Francesca, pseudonimo della nostra intervistatrice, di anni 65, portati con ancora tanta grinta di vivere. “Con la voglia di non deporre le armi- sostiene Francesca-. Di non esere sopraffatta. Non è facile senza alcun aiuto: impossibile da soli! Questo tipo di situazione dev’ essere sostenuta dalla solidarietà, dall’affetto, dalla sensibilità, dall’attenzione, perchè vengono meno le forze, la volontà, la lucidità; incominci ad entrare in lotta con medicinali, traumi, sofferenze. Tutto ciò prima o poi viene fuori. Pudicamente puoi cercare di non farlo vedere agli altri, ma emerge. Il primo problema: quando vieni a conoscenza della malattia, come se entrassi in un’ombra. La lucidità vien quando il tutto è finito: dopo la chemio ti rendi conto che eri gravemente malata. A quel punto ti trovi in una solitudine assordante, totale, perchè i medici non hanno spesso riguardi per il degente, almeno questo ho constatato in molti ambienti della Sanità pubblica, da me frequentati, essendo affetta da linfoma di serie B con esame istologico negativo. Asportato un tratto d’intestino, sono senza milza e m’è stato toccato anche il pancreas. Da tale momento son diventata diabetica. Poi son stata operata al cuore per un coagulo. Quando la chemio è terminata, i valori son grossolanamente rientrati, il paziente si rende conto d’essere infermo perchè la guarigione sperata non avviene come creduto. Tutto ciò ch’è cancro, solido, circoscritto, diverso da un linfoma che tocca il sangue. Sono un soggetto a rischio continuo, con i miei 65 anni, accompagnati dalla sedia a rotelle per le difficoltà motorie subentrate, che hanno aggravato una situazione che già avevo. Nel 2004 appresi d’essere affetta da linfoma ed iniziai un percorso in una sofferenza ch’era inaudita. Già non lavoravo più: per i miei tre figli, un colpo al cuore. Erano sopraffatti dal dispiacere: non l’hanno mai accettato e si sono attivati, ma come una situazione di malessere momentaneo.  Non mancano i miei dolori psicologici per la famiglia: le mie ansie di madre, le mie incertezze per il futuro dei miei figli.  La malattia è un fatto privato: riguarda i singoli, quando intorno non si riscontrano comprensione ed affetto! Indifferenza e scarso ascolto, sono le caratteristiche che umiliano il già precario equilibrio psicologico del paziente. La forza da dove trarla? Io l’ho tratta dalla fede, ma non quella bigotta, istituzionale. La mia ricerca è stata interiore e sul mio cammino mi sono imbattuta in angeli in terra, che mi hanno sostenuta nel portare la croce quotidiana”.