Potenza: il giallo di Elisa

 Aldo Bianchini

Federica Sciarelli, storica conduttrice della trasmissione di Rai/3 “Chi l’ha visto?”, nella puntata del 29 marzo 2010 stringendo tra le mani la fotocopia di un fascicolo giudiziario legge a tutto schermo alcune righe: “L’inchiesta della pm Genovese è stata condotta in maniera corretta ed esaustiva con indagni8 puntuali e penetranti in ogni direzione e senza trascurare alcuna ipotesi…”. Poi tutto d’un fiato aggiunge di suo dicendo pressappoco così: “E meno male che le indagini furono puntuali e penetranti, figurarsi cosa sarebbe accaduto se le stesse indagini fossero state condotte in maniera più leggera?”. Quasi irritata si ferma, non va oltre e non svela che gli inquirenti di Salerno che scrissero quel decreto di archiviazione a carico del pm Felicia Genovese di Potenza (prima investigatrice sul giallo di Elisa) erano Luigi D’Alessio, Rosa Volpe e il gip Vito Colucci, in pratica gli stessi che da qualche giorno stanno continuando le indagini dopo il ritrovamento dei resti di Elisa nel sottotetto della Chiesa della Trinità di Potenza. A distanza di poco più di venti giorni dal ritrovamento ufficiale pur non essendoci ancora l’ufficialità sembra proprio che quei resti siano attribuibili al corpo di Elisa, seviziata e uccisa in chiesa la mattina del 12settembre 1993, forse addirittura nella canonica dietro l’altare maggiore. Il giallo di Elisa è infinito, è iniziato la mattina del 12 settembre 1993 ed è destinato a durare ancora per anni. Perché tutti quelli che al giallo si avvicinano, inquirenti compresi, peccano di preconcetti o di convinzioni già radicalmente sedimentati e, dunque, difficilmente modificabili. Non mi addentro nelle segrete stanze giudiziarie di Potenza ma intendo approfondire la dichiarazione della Sciarelli soffermandomi su alcuni magistrati salernitani che da tempo indagano su quel giallo. Il primo in ordine di tempo fu Gelsomino Cornetta che all’epoca della scomparsa di Elisa era il capo della procura della repubblica di Potenza. Stando alle rivelazioni dell’ultima ora Cornetta, nel novembre 1993, avrebbe scritto alla Procura Generale “si tratta di omicidio” per ottenere l’iscrizione di Danilo Restivo come sospetto autore del delitto. Poco credibile questa versione, il procuratore Cornetta era uomo serio delle istituzioni e prima di affermare una accusa di delitto ci avrebbe pensato molto. Forse, ed è la versione più credibile, Cornetta scrisse “potrebbe trattarsi di omicidio” che è una ipotesi accusatoria molto più credibile, anche perché di indizi o prove certe non ne esisteva nemmeno l’ombra. Su questa ipotesi l’inchiesta venne condotta per anni dalla pm Felicia Genovese (Potenza) finita sotto inchiesta per via di un’accusa avanzata contro di lei da un pentito a causa di rapporti mai concretamente dimostrati tra suo marito (Cannizzaro) e il padre di Danilo Restivo. La patata bollente passa a Salerno, più o meno quasi in coincidenza del passaggio dello stesso Cornetta quale procuratore capo da Potenza a Salerno e l’inchiesta sulla Genovese viene affidata a due pm salernitani Luigi D’Alessio e Rosa Volpe che nell’agosto 2001 (poco la morte di Cornetta) archiviano il caso, assolvono la collega di Potenza e decretano che “non esistono elementi di prova che potessero ricondurre univocamente a Danilo Restivo quale autore del grave e triste fatto delittuoso”. E come avrebbe fatto qualche anno prima il procuratore Cornetta a scrivere ”si tratta di omicidio”  quando i suoi sostituti salernitani lo smentiscono in maniera netta e decisa; più facile credere che Cornetta nel 93 scrisse “potrebbe trattarsi di omicidio” che è, ripeto, cosa ben diversa. Anche perché proprio in quel periodo del 1993 Cornetta era totalmente preso dalla vicenda complessa e drammatica delle perquisizioni da lui stesso disposte a carico di due colleghi baresi Nicola Magrone e Elio Simonetti, vicenda che scosse l’apparato giudiziario lucano-pugliese fin dalle sue fondamenta. Dopo il ritrovamento le cose che più stupiscono sono almeno due: l’ attribuzione delle indagini alla Procura di Salerno grazie ad un artificio procedurale promosso dalla Procura Generale e l’assegnazione del caso sempre agli stessi magistrati che nel 2001 si erano pronunciati assolvendo la collega potentina. Quello di Elisa è un giallo a dir poco internazionale e di difficile risoluzione; ragionevolezza avrebbe suggerito che ad indagare su quei fatti fossero “diversi e nuovi magistrati” in modo da rapportarsi con le intricate indagini sempre in maniera asettica e senza preconcetti o convinzioni già radicate da precedenti indagini o meglio ancora da decreti di archiviazione; fatta salva, ovviamente, la riconosciuta e assoluta professionalità degli attuali inquirenti. Preciso di nuovo che è solo questione di ragionevolezza e di immagine da offrire alla pubblica opinione; insomma come dire che se su un caso indagano dieci magistrati anziché cinque vuole dire che venti occhi potrebbero vedere meglio di dieci. E questo non perché dovrebbe essere una pratica diffusa per ogni caso giudiziario, ma qui parliamo di un giallo, non di un caso, nel quale i dubbi di turbative, di depistaggi, di rapporti interfamiliari, di irruzione forse anche dei servizi segreti e forse della P2, sono palpabili e trasparenti. Non a caso sulla vicenda è piombato anche direttamente il capo della polizia Antonio Manganelli. La complessità del giallo è talmente forte da scuotere gli alti vertici dello stato, tranne la Procura della Repubblica di Salerno. Le perizie richieste dagli inquirenti saranno depositate lunedì 12 aprile, nel frattempo il cadavere di Elisa sta “tristemente parlando”, almeno così ha dichiarato il prof. Introna.