Il soffio di Belzebù

Antonio Pirpan

Mezzi pubblici, che passione! Cogitate, fratres. Nell’autobus n° 8 c’è aria densa e greve, lacerata da una sinfonia di colpi di tosse, sbadigli, tirate di nasi e profonde schiarite di gole, borborigmi intestinali e starnuti a bizzeffe. Una colonna sonora che conferisce all’ambiente l’aspetto cupo di un ospedale da campo. Ma guarda che bella giornata. Prendo posto vicino al finestrino e faccio un cenno di saluto al passeggero seduto dietro, infreddolito e pallido in volto. Avrà un po’ di febbre, penso. Dal vetro, guardo la pioggia che cade fitta da un cielo basso e tetro. In prossimità della stazione ferroviaria di Salerno mi preparo per scendere, quando in un nanosecondo mi arriva sulla nuca uno starnuto a velocità torrenziale, sotto forma di migliaia di particelle invisibili che mi trasmettono un brivido fino alla bassa schiena. Mi giro e vedo il tizio di prima con il naso che gli si arriccia, segno inequivocabile che altri starnuti sono in arrivo. Provvidenzialmente, si apre la portiera e, tra uno spintone e l’altro, riesco a scendere.  Confesso che sullo starnuto, o “Soffio di Belzebù”, come lo chiamo in privato, le mie conoscenze sono molto limitate. Pensandoci però, qualcosa riaffiora nelle memoria: frammenti di ricordi accumulati negli anni. Mio nonno, per esempio, ad ogni inizio di primavera, ricordava a tutta la famiglia che, quando si starnutisce, gli occhi sono sempre chiusi: “quindi, state attenti dove mettete i piedi”, sentenziava con piglio severo. Mia madre, invece, molto più pratica, quando in casa c’era qualcuno di noi che starnutiva, ci imponeva di trattenere il respiro, mentre lei contava fino a venti; il risultato era quasi sempre “miracoloso”. Più tardi, alle scuole superiori, imparai che, facendo “abortire” uno starnuto, si rischiava di danneggiare le trombe di Eustachio, bombardate dal conseguente rigurgito di aria compressa. Per i più curiosi, ecco di seguito uno scampolo di facezie. Un tale che aveva tempo da perdere, ha lasciato scritto che ognuno di noi ha un modo di starnutire che ricalca quello dei genitori: io ho sempre pensato a quello dello scimpanzé. Più serio lo studio di due scienziati statunitensi che, utilizzando una sofisticata attrezzatura a luce stroboscopica, hanno fotografato la velocità dello starnuto, stabilendo che si aggira intorno ai 160 chilometri all’ora. Fate attenzione a dove lo lanciate. Molti “starnutologi”, invece, sostengono che le forti emozioni e le ripetute eccitazioni sessuali possono procurare uno o più starnuti, per cui è necessario seguire attentamente le “istruzioni” per evitare inopportuni effetti collaterali. Con un pizzico di humor nero, i giapponesi chiamano lo starnuto “Kushami”, probabile onomatopea di “Tsunami”, e Dio ci scansi. I cinesi, dal canto loro, sono convinti di vincere, starnutendo durante i giochi d’azzardo. Basta provare. A proposito, se avete il singhiozzo, procuratevi uno starnuto, e il disturbo passa all’istante. Parola di Ippocrate. P.S. – Dopo tanto starnutire, vi sarà venuta la voglia di farne uno. Perché no. Fatelo, per sentirvi giovani e vivi, e accompagnatelo con il gesto più eloquente che ci sia in natura, mettendo cioè la mano sinistra nell’incavo del braccio destro, con pugno chiuso. SALUTE!

 

2 pensieri su “Il soffio di Belzebù

  1. Occorrerebbe seriamente condizionare l’opinione pubblica sul ritorno all’uso del fazzoletto da avere “a portata di mano” (e di naso ovviamente!). Ricorda quel bel carme “Ad Marrucinium Asinium” dove Catullo si era tanto arrabbiato perché questo signore rubacchiava fazzoletti proprio … a portata di naso? I Latini non conoscevano questi “Belzebù”, ma soprattutto non avevano quei mezzi pubblici così malsani … che ogni tanto vengono dati a fuoco dai D.O.E. (disoccupati organizzati ecologisti).

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