Regionali: de Cristofaro risponde a Ganci e Caso sul tetto del 30% agli extracomunitari nelle classi

Data la lunghezza della risposta, tale commento abbiamo pensato di pubblicarlo non a latere, per offrire la possibilità d’ulteriori forum a riguardo

Gentili Salvatore Ganci e Giulio Caso, nel ringraziarvi di seguirmi sono onorata di rispondere alle vostre accezioni sui miei pensieri in merito al tetto previsto dal ministro della Pubblica Istruzione per i bambini extracomunitari. Nel suo scritto, gentile sig. Ganci lei afferma che la didattica risente negativamente dalla presenza in classe di bambini extracomunitari, certa che questa sua convinzione non deriva da colloqui con i colleghi docenti, mi chiedo come faccia a giudicare elementi di disturbo i bambini extracomunitari, ossia secondo quale dato oggettivo in suo possesso. Volendo solo superficialmente parlare di pedagogia sono elemento di “disturbo” tutti quei bambini che hanno bisogno di attenzione e che con il loro essere irrequieti e a volte violenti vogliono solo dire “io esisto”, questo indifferentemente se sono italiani o stranieri, cattivo maestro/a e cattivo padre/madre, colui che non riesce ad ascoltare questo grido di aiuto, che i bambini lanciano nell’unico modo che conoscono, ossia disobbedendo e creando disordine, pur di non essere più “invisibili”. Se lo desiderate su questo possiamo fare un bel dibattito più approfondito in un incontro con le famiglie. Io non ha alcun timore di difendere le mie idee, che non sono dettate da segretari di partito, come afferma lei sig. Salvatore, ma da una esperienza trentennale nel campo della didattica e dell’insegnamento, con risultati soddisfacenti, perché sul serio nella mia, come in tante altre classi di docenti italiani vale la linea didattica “Non uno di meno”, perché per noi tutti devono avere pari opportunità sin da piccoli e non meritano di essere considerati degli scarti di partenza. Il sig. Giulio afferma inoltre che: “Più scuola non significa più  formazione, perché non permette libere riflessioni autonome”, ed io mi chiedo: “Chi dovrebbe condurre i giovani ad approdare ad una maturità tale per libere riflessioni autonome se non la scuola?” La famiglia? Altre agenzie educative? Possibile, ma vale solo per i bambini che possono usufruire di ciò, ossia di una famiglia presente e di un benessere che li porti a frequentare altre agenzie educative, ma quando l’alternativa è LA STRADA mi creda sig. Giulio, molto meglio che questi bambini siano a scuola, siano in un ambiente sano lontani da cattivi esempi che potrebbero farne degli adulti dediti all’illegalità.. Infine, il sig. Salvatore mi chiede come metterei in atto le mie “belle parole”, con leggi e progetti che portino tutti ad avere possibilità nella vita futura, con scuole a tempo pieno e non ad orario ridotto, che non consente nemmeno di svolgere gli attuali programmi, figuriamoci poi di recuperare chi è in svantaggio, con progetti reali di interazione tra azienda e scuola, non solo a livello universitario, ma anche superiore, in quanto attualmente sono ancora poche le scuole che attuano tale progettazione. Una società dove, come lei Salvatore, giustamente, affermava c’è tanta precarietà lavorativa, non si può più pensare ad una scuola che non da’ le giuste indicazione per il mondo del lavoro e che indirizzi i ragazzi ad una genericità, che non va bene per un mondo del lavoro che desidera sempre più specializzazioni e capacità organizzative, che possono essere acquisite solo sul campo. L’abbinamento teoria e pratica non è qualcosa di obsoleto, ma l’unica via per l’inserimento lavorativo. Infine, sempre per sottolineare, il problema lavoro bisogna anche che la scuola guidi l’alunno ad acquisire la più importante, forse della capacità individuali, ossia “imparare ad imparare” , che sembra una cosa ovvia, ma che le posso assicurare non lo è. Imparare ad imparare significa avere la mente aperta, essere curiosi del nuovo e quindi non fermarsi davanti a qualcosa di cui non conosciamo i fondamentali, ma provare a conoscerli ad impararli, ciò non solo ci darà la possibilità di distinguerci in tutti i campi e di cambiare eventualmente lavoro, ma ci manterrà anche più giovani, perché ogni volta che la nostra mente deve imparare cose nuove innesta e attiva sinapsi che si erano spente. I giovani a scuola dovrebbero prima di tutto imparare questo e non aver paura di mettersi in discussione nel mondo del lavoro. Spero che la mia risposta sia stata esaustiva e se posso permettermi un consiglio, non guardiamo le cose sempre e solo dal nostro angolo, dalla visuale che ci da’ la nostra  posizione sociale, andiamo oltre e mettiamoci anche dall’altra parte. Un’ultimissima cosa, giusto per confermare il mio pensiero su una scuola che sostiene e non abbandona, i miei migliori anni di insegnamento sono stati nelle scuole difficili, in quelle di periferia, dove orgogliosamente possiamo dire di aver dato una mano a capire quanto fosse importante formarsi culturalmente a ragazzi, di cui per fortuna non abbiamo mai letto sui giornali per atti criminali, chissà forse la scuola come luogo educativo serve ancora. 

Lucia de Cristofaro 

3 pensieri su “Regionali: de Cristofaro risponde a Ganci e Caso sul tetto del 30% agli extracomunitari nelle classi

  1. Gentile Signora, rispondo volentieri alle Sue lunghe ed articolate condrodeduzioni. Nel mio commento io ho affermato che la possibile ratio del Ministro nel porre un tetto al numero di bambini extracomunitari nelle singole classi, fosse effettivamente legata all’efficacia didattica dell’azione educativa. Pur non essendo io, ovviamente, nella testa del Ministro Gelmini, ho inferito che questa fosse la più sensata delle molteplici chiavi di lettura. Le mie “convinzioni”, come Lei le definisce, nascono da trentadue anni di insegnamento di servizio effettivo con esperienze pre-ruolo in diverse tipologie di scuole, inclusa la scuola media. Mi sono occupato per un biennio di “didattica delle scienze” nella Scuola Media con un gruppo di Docenti dell’Università di Genova, gruppo non privo di buoni Pedagogisti oltre che di Fisici. Da oltre un trentennio opero nel settore “Didattica e Storia della Fisica” ritornando proprio recentemente ad un rinnovato interesse per la didattica nella scuola media. La scuola media che, per svariati motivi, è oggetto di monitoraggio, evidenzia la preoccupazione per la presenza di problemi di comunicazione, particolarmente dai Docenti di Lettere che non hanno strumenti idonei ad un insegnamento produttivo se non se stessi. In merito alla Sua “certezza” riguardo a scambi con miei colleghi, sono dispiaciuto di doverla contraddire: in più occasioni ho avuto modo di prendere atto, come docente, ma anche come genitore di uno studente, che colleghi di varie materie vedono proprio un serio elemento di freno (e di alibi) all’attività didattica la scarsa, non dico padronanza, ma proprio comprensione della lingua italiana da parte di studenti stranieri. Se manca l’elemento base della comunicazione, cioè la comprensione della lingua, come si può espletare la funzione didattica? L’idea di creare una classe intermedia che consenta ai bambini stranieri di apprendere prima la lingua e successivamente essere integrati nelle classi non mi sembrava tra le peggiori. Purtroppo l’idea “ipotetica” di una classe di collegamento è stata tacciata di “razzismo (leghista)”, mentre per una volta nella vita, ho letto questa “idea leghista” come operativamente efficace e, nel contempo, in grado di contenere il budget dell’Istruzione. Una classe dove l’obiettivo è solo quello della comunicazione in lingua e Lei, pedagogista, mi insegna che è nella primissima infanzia che la lingua si apprende con facilità. La plasticità neurale, il fenomeno per cui si creano i collegamenti sinaptici e si attivano aree cerebrali specifiche, è massima nella prima infanzia (è noto che le aree di Broca e di Wernike si atrofizzano irreversibilmente se non opportunamente stimolate entro il primo decennio di vita). Io credo che, per agevolare l’apprendimento di tutti i bambini, siano essi stranieri od italiani non è questo il punto, sarebbe più opportuno creare classi utilizzando una valutazione di parametri quali capacità personali, motivazione all’apprendimento, competenze acquisite. Ciò permetterebbe di calibrare gli approcci pedagogici in base alle reali esigenze dei bambini, non frustrando chi eccelle e non illudendo chi ha problemi. Senza escludere nessuno e portando tutti allo stesso livello. Il problema nel realizzare ciò è dato dall’incapacità di molti docenti nell’aggiornarsi, per esempio sulle recenti scoperte di come il cervello apprende. Se poi si vuole rendere la scuola il surrogato di carenze familiari e/o sociali, allora stiamo facendo un pot-pourri piuttosto imbarazzante. Sostenere significa creare aspettative realisticamente basate, non creare illusioni. Mi assale a volte la preoccupazione più “sostanziale” per i nostri 3300 “giovani donne e uomini di Scienza” che, ogni anno, lasciano l’Italia e non tutti hanno quella padronanza della Lingua Inglese che “l’offerente” richiede. Mi permetta infine di sottolineare che non ha risposto a come concilierebbe Lei l’integrazione dei bambini ROM in una Italia Repubblica fondata sul lavoro. Ma questo non è un problema che interessi i politici. Rispettando le Sue priorità, auspico che Lei sappia comprendere e rispettare le mie. Con i migliori saluti, Salvatore Ganci

  2. Mi riferivo soltanto a studenti di istituti superiori, a volte distratti da mille progetti. Era un modo per dire:” Ogni tanto lasciamo ai giovani il tempo di studiare e rielaborare le cose”.

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