Eboli: I.C.A.T.T. celebra il giorno della memoria

Quanto a “trattamento rieducativo” e “reinserimento sociale” dei detenuti le carceri italiane risultano assai carenti. Ma è ad Eboli che il dato viene ribaltato varcando la soglia dell’Istituto di custodia attenuata per il trattamento delle tossicodipendenze. Qui in via Castello il sovraffollamento, che deteriora ulteriormente la qualità della vita dei detenuti, già provati per le condizioni di limitata libertà, non è un problema, tant’è che essendo limitato il numero di carcerati si riesce, con ottimi risultati, a fare trattamento. E’ la stessa direttrice Rita Romano a sottolineare quanto siano determinanti le attività socio-culturali condotte dentro le mura per un effettivo reinserimento sociale dei detenuti. “E’ stato dimostrato che anche dietro le sbarre è possibile sentirsi uomini liberi- aggiunge la dottoressa Romano- una libertà che va oltre la condizione di essere detenuti e attraverso le attività laboratoriali, come è accaduto per il gruppo “uommene e tambure”, la conoscenza della storia locale e dei fatti drammatici che l’hanno segnata è fondamentale per l’acquisizione di una maggiore consapevolezza del contesto socio-culturale con cui si interagisce. Ricordi che non vanno persi, anzi fungono da monito per costruire una società più giusta”. E’, infatti, il 29 gennaio la data scelta dall’I.C.A.T.T. di Eboli per lo spettacolo “O’ cunto d’o’ quatto e’ coppe” del gruppo “Uommene e tambure”, frutto del laboratorio condotto dal musicista Pino Turco e dall’operatore sociale Paolo Garofalo, che racconta il tragico incidente ferroviario verificatosi nel ’44 a Balvano: vi trovarono la morte oltre 500 persone, di cui non si seppe più nulla e che finirono sepolte in fosse comuni. “E’ proprio nel giorno della memoria- spiega ancora la direttrice Rita Romano- che abbiamo voluto ricordare uomini e donne dimenticati dalla storia come le migliaia di vittime della Shoah in un periodo tra i più funesti della storia contemporanea e che investì anche questi territori a sud di Salerno. Non molto distante, infatti, nel vicino comune di Campagna fi0gure come Giovanni Palatucci furono determinanti per la salvezza di centinaia di deportati nei campi nazisti”. Mancano, quindi, pochi giorni alla manifestazione prevista per il 29 gennaio alle ore 10,00 presso l’istituto di custodia di Eboli, a cui parteciperanno non solo le autorità civili del luogo e una rappresentanza delle scuole cittadine, ma anche i rappresentanti dell’amministrazione comunale di Balvano, in primis il sindaco di Balvano, Costantino Di Carlo, oltre all’antropologo Vincenzo Esposito e ai familiari dell’unica vittima ebolitana di quel tragico incidente ferroviario. E’ corretto definire l’ICATT come un carcere “aperto”? “Bè, tante sono le attività in corso presso la casa di reclusione. Si parte dalla falegnameria, al decoupage, fino a laboratori “artistici” come la musica ed il restauro, quest’ultimo organizzato con la supervisione della Soprintendenza ai beni culturali che ha consentito il recupero di ben tre tele, rinvenute presso la cappella di San Marco dentro le mura, di grande valenza storica ed artistica (opere del ‘600, del ‘700 e dell’800). I detenuti- spiega ancora la direttrice Romano- sono coinvolti 24 ore al giorno in attività che consentono loro un progressivo recupero etico e sociale. Grazie alla proficua collaborazione del dottore Carlo Maria Stallone, presidente del tribunale di sorveglianza, infatti, i carcerati possono anche avvalersi di permessi premio per motivi di lavoro o di istruzione e questo gli permette un confronto costante e principalmente “sano” con l’esterno. Il loro è un ozio senza riposo, espressione che considero calzante”. Una filosofia questa che ripaga e che oggi porta l’ICATT ad essere tra le eccellenze nella conduzione di una struttura carceraria tesa alla riabilitazione e reinserimento sociale dell’individuo. Si punta, quindi, sulla formazione che non può prescindere dalla riscoperta dell’io, da qui il progetto “arte per la salute” avviato circa un anno fa e che oggi ha portato alla formazione di un gruppo “teatrale” come “Uommene e tambure”. Nello spettacolo O’ cunto d’ ‘o quatto e’ coppe” (“Racconto del quattro di coppe”, una carta che, nel mazzo, non ha nessun valore ma di cui non si può fare a meno), il cuore non batte solo per se stessi. Si dà la voce a chi non ce l’ha o non l’ha mai avuta ed in tal caso ai morti del treno 8017, in quello che fu definito il disastro ferroviario più grande d’Europa. A Balvano, infatti, nella notte tra il 2 ed il 3 marzo del 1944, in pochi minuti trovarono la morte oltre 500 persone per le esalazioni di monossido di carbonio, sprigionatosi dalle ciminiere delle due locomotive a vapore che da Napoli erano dirette a Potenza. In un tratto impervio ed in salita il treno si fermò nella galleria sotto il Monte delle Armi. Centinaia di vittime di cui non si seppe più nulla, uomini e donne seppelliti in fosse comuni a Balvano di cui si è persa memoria, ma che oggi il gruppo “Uommene & tambure” del carcere di Eboli fa rivivere in storie narrate e cantate. Non è casuale la scelta del tema. La maggior parte dei componenti del gruppo, infatti, proviene dalle zone del napoletano in cui abitavano gran parte dei passeggeri di quel convoglio.