Rifugiati ambientali per il clima
Flussi migratori per svariati motivi. Anche di natura meramente climatica. In quei Paesi dove cicloni, siccità, tsunami ed altri uragani naturali, battono costantemente l’ambiente. Percuotendolo con ferite letali. Tra quanti migrano in cerca di lavoro o di un nuovo sole economico, coloro che non reggono più le calamità naturali. Il 3% della popolazione mondiale, profuga per il meteo. Nel 2050 potrebbero essere oltre 200 milioni coloro che lasceranno le proprie radici, in barba ad ogni campanilismo, per stanziarsi su nuovi scenari. Secondo l’Organizzazione per le migrazioni, nel 1990 25 milioni hanno rinnegato le origini natìe, dimorando in altri Continenti. Con tutte le difficoltà inevitabilmente annesse. Un rapporto di 1 a 45, senza distinzione di sesso o d’età. Tante le mete ambite. Verso gli Stati Uniti, dal Messico, annualmente un milione di persone. Alla luce dei risvolti climatici che, in un futuro non lontano, allertano per effetto serra, buco nell’ozono, disgelamento artico: le calamità naturali spingeranno, nei prossimi decenni, decine di milioni d’individui a vivere la condizione di ‘rifugiati ambientali’ dai Paesi più poveri. Come attualmente avviene dal Bangladesh, verso Copenaghen, dopo Giacarta e Manila. La geografia umana, che subirà delle flessioni nelle zone più favorevoli agl’insediamenti, dovrà inevitabilmente sperimentare nuove forme di convivenza civica. In un mosaico multietnico che va sempre più connotandosi di spersonalizzante identità geo-ambientale. Imparando a rodare anche il proprio organismo, su nuovi parametri metereologici: il che, per i più sensibili, non sempre sarà senza traumi fisici!