Salerno: L’Accento lancia una nuova classe dirigente

 Aldo Bianchini

L’Associazione di promozione culturale e sociale “L’Accento” sul tema Mezzogiorno ed Innovazione per una nuova classe dirigente da il via ad un lungo corso di formazione iniziando con un tema di grande attualità “Legalità e lotta ai poteri criminali”. Un corso di formazione intitolato alla memoria del prof. Vincenzo Buonocore, fondatore de L’Accento. La prima lezione viene tenuta dal dr. Franco Roberti, capo della procura della repubblica di Salerno. Ad introdurre i lavori di questo primo appuntamento è l’on. Tino Iannuzzi che, dopo aver ricordato la figura di Buonocore, si intrattiene sull’importanza del corso e, soprattutto, sul tema della legalità e la lotta ai poteri criminali come impegno primario delle nuove classi dirigenti per una maggiore apertura nella vita pubblica, nelle istituzioni e nella politica del Mezzogiorno. Bisogna recuperare una cittadinanza attiva, vera, orgogliosa e motivata se il Paese vorrà superare le tante difficoltà che ha di fronte. Occorre la nascita di un nuovo senso del dovere, così ha concluso il suo breve intervento l’on. Iannuzzi. L’avv. Antonio D’Alessio (Presidente de L’Accento) aveva in precedenza, ovviamente, presentato l’evento. Nel prendere la parola il procuratore Roberti ringrazia L’Accento ed entra subito nel tema. La prima legalità è quella costituzionale –dice Roberti- perché la criminalità organizzata è cresciuta negli ultimi settant’anni in maniera esponenziale e il rapporto di causalità diretta con le disuguaglianze sociali dà maggior forza ai poteri criminali. Bisogna far crescere la coscienza dei cittadini, ritenendo che uno è cittadino quando capisce i doveri e pretende i diritti, sempre nella massima legalità. Per parlare di lotta ai poteri criminali bisogna capire il concetto della legalità costituzionale nell’ottica della precettività delle norme della Carta in funzione diretta verso il Parlamento che non può legiferare quello che vuole ma deve attenersi ai primi 54 articoli della Costituzione. Soltanto attivando questi principi potrà essere realizzato un impianto sufficiente per la lotta ai poteri criminali. Occorre, quindi, mantenere in atto l’indipendenza della magistratura nell’ottica dell’azione penale obbligatoria che può essere attivata solo se il PM rimane fuori da ogni logica di assoggettamento al potere politico. La vicenda della camorra campana è emblematica e significativa; essa è cresciuta, in alternativa ai pubblici poteri, perché offre servizi ai cittadini laddove lo stato non è in grado di farlo. Il suo rapporto omertoso con i cittadini le consente atteggiamenti estorsivi ponendosi come garante nei rapporti commerciali con imprevedibili collusioni con la politica in genere. E questo fa parte della storia dei rapporti tra camorra e stato che non ha mai contrastato efficacemente la sua azione preferendo, a volte, servirsene. Il ministro salernitano Giovanni Nicotera per primo mise in risalto questi principi e suggeriva di aumentare i contatti tra le varie faglie camorristiche in modo da farle autodistruggere. Esemplare in negativo la liberazione dell’assessore Cirillo, in quel caso lo stato patteggiò con Raffaele Cutolo  legittimandone la sua suprema autorità criminale. La criminalità camorristica, in alcune zone, è totalizzante ed estremamente sostitutiva dello stato. Bisogna quindi conoscere bene i propri diritti nel rispetto dei doveri, non c’è soluzione diversa; lo Stato e la Repubblica devono mettere tutti i cittadini in condizione di potersi avvalere  di un sistema legale ed egualitario per la difesa dei singoli diritti. In un recente incontro il ministro Maroni chiese ad alcuni magistrati –dice Roberti- se lo stato potrà mai vincere la mafia. Roberti rispose “si” aggiungendo “Basta che lo voglia”. E democraticamente Roberti aggiunge che in questo senso il ministro Maroni ha già fatto qualcosa di innovativo ed efficace. E tutta qui, forse, la chiave di risoluzione del problema. Non c’è giustizia se il caso, quale che esso sia, non si traduce in un processo che abbia una ragionevole durata e sia anche giusto. Lo sviluppo dei nostri territori di mafia dipende direttamente dall’efficace lotta ai poteri criminali. Poi ci sono, ovviamente, tutte le politiche sociali per assicurare uno “stato sociale” garantito per tutti; ma  questo è tema della politica e non della magistratura. Si possono fare tutte le riforme -chiude Roberti- ma bisogna garantire l’autonomia dei singoli poteri, altrimenti si potrebbe andare incontro ad un regime autoritario. Non so se saranno mai fatte le riforme costituzionali in quanto per farle bisogna che il clima politico sa davvero più sereno di quello di oggi, perché le riforme si fanno insieme. In una sorta di question-time intervengono Mauro Calatola e Andrea Lembo (anche se Lembo si perde un po’ in considerazioni fortemente colorate !!) ed altri che chiedono come portare avanti la lotta contro le connessioni occulte e come un cittadino deve essere difeso dopo la denuncia e se un magistrato debba lavorare in sordina o alla luce dei riflettori. Risponde in maniera sintetica il Procuratore e afferma che i popoli si educano con l’esempio prima ancora che con le leggi (come diceva Confucio). Poi la discussione, sinceramente, scade in battute che poco o nulla hanno a che fare con il tema forte della serata: “Legalità e lotta ai poteri criminali”. Probabilmente, devo ammetterlo, l’unico a rimanere in tema è proprio il Procuratore della Repubblica pur scadendo anch’egli nella banalità quando afferma in maniera soltanto populistica: “Come volete che il potere politico dia mezzi e uomini a chi deve garantire la legalità e deve indagare anche sullo stesso potere politico?”.