De Robbio: don Ciccio ricordato da un amico sincero
Bandiere a mezz’asta per il lutto che ha colpito il mondo dello sport e, in particolare, quello del calcio e della famiglia dell’Associazione Italiana Arbitri di cui è stato uno degli esponenti più rappresentativi e carismatici, personaggio simbolo. Giornate di profonda tristezza, momenti di grande sconforto e tangibile incredulità vissuti dai familiari, dagli amici e quanti altri hanno avuto il privilegio di conoscere il Commendatore Francesco (Ciccio o anche don Ciccio) de Robbio che ci ha lasciati l’altro giorno e che, in questo breve lasso di tempo, nella stesura cioè di queste poche righe mi sta vicino e mi guida – ne sono certo – al fine di stemperare la mia costituzionale emozione. L’incredibile, ferale notizia – nell’intimità di molti di noi (andandosene, a prescindere dall’immenso vuoto, mi ha lasciato ancora più orfano: con lui, infatti, se n’è andato un altro pezzo di vitale importanza della mia esistenza), non abbiamo remore ad ammetterlo, era ritenuto un immortale – ha scosso gli animi di tutti. Il fantastico, straordinario percorso della sua vita terrena è racchiuso nel necrologio della famiglia “lo ringraziano Ida, Maria e Gennaro, Ottavio e Oriana, Giulio, Simona e Francesca per l’amore, gli insegnamenti e l’allegria che ha saputo donare per tutta la vita a loro e a chi gli è stato vicino”, in quello dell’A.I.A. – sezione di Salerno – presente alle esequie con il labaro ed una nutrita delegazione “Rispetto, diligenza e lealtà: principi che hanno animato la sua esistenza. Arbitro sia in campo che nella vita arbitrale. Dirigente arbitrale amico di tutti, esempio per i giovani”, nelle parole pronunciate all’omelia “un uomo di antichi valori, affettuosissimo con i familiari, un campione dello sport praticato con semplicità, con umiltà, quasi fosse un servizio cui adempiere; molto attento alle funzioni religiose cui partecipava con impegno; un uomo che non può né deve essere dimenticato; non gli dobbiamo solo riconoscenza ma soprattutto affetto; teniamocelo sempre vicino, ricordiamolo nelle preghiere, ringraziamo soprattutto il Signore per avercelo dato” ed in quelle pronunciate con toccante commozione “quando stamattina, giunto nell’androne del palazzo dove abita, non ricordando più la scala, ho chiesto ad un signore che incontravo per la prima volta, sono stato molto turbato dalla risposta <chi, quel vecchietto del quinto piano?>; no, caro signore, non ci siamo! perché Ciccio de Robbio non è mai diventato vecchio! giovane in tutto, la vecchiaia, infatti, non l’ha nemmeno sfiorato; l’ho conosciuto 45 anni fa e, oltre ad essere stato un maestro di vita, mi è stato vicino e mi ha dato un aiuto grandissimo nei particolari momenti della mia vita che ho attraversato, facendo in un certo senso le veci di quel padre che ho perduto da piccolo” nell’orazione funebre tenuta da Aldo Bianchini che, con intelligenza e particolare finezza, ha interpretando anche il pensiero degli amici e dei colleghi di quasi mezzo secolo fa. Il primo incontro con il Commendator de Robbio (nonostante le insistenze non ce l’ho mai fatta a dargli del ‘tu’ ed a chiamarlo Ciccio o don Ciccio) risale al 14 settembre 1964. Un lunedì, il mio primo giorno di lavoro presso la sede INAIL di Salerno dove, con Aldo Bianchini, ero il più giovane di una ventina di neo assunti. Allora, un collega – non rammento chi – avendo notato il mio momentaneo ‘imbarazzo’, si preoccupò di ricordarmi che mi trovavo di fronte al de Robbio di Torre Annunziata, il famoso arbitro di calcio internazionale. Insomma, un mito per noi ragazzi di quell’epoca! Mi colpirono il suo carattere gioviale, la sua semplicità, la sua grande disponibilità. Fui subito onorato della sua vicinanza e del suo modo riservato di farmi da guida. Il ‘maestro’ di vita che mi ci voleva! Unico, insostituibile! Ha sempre avuto uno spiccato senso dell’amicizia coltivato e sostenuto fino all’ultimo (…più di una volta, complice anche l’età, con un certo cruccio e velato rammarico mi confidava che non pochi amici e conoscenti l’avevano relegato nel ‘dimenticatoio’). Autoironico, estroverso, grande comunicatore, il Commendatore de Robbio aveva dentro di sé un qualcosa di magnetico da attirare perfino i destinatari – subivano senza fiatare, pochi si permettevano un improperio – dei suoi proverbiali scherzi, delle sue freddure. Scaramantico quanto basta come, del resto avveniva ed avviene, per buona parte – un fatto, si può dire, quasi naturale – dei personaggi dello spettacolo. Non posso dimenticare – e neanche coloro i quali seppero e continuano a ricamarci sopra nonostante siano trascorsi circa 40 anni (è ancora ‘leggenda’ quella mia espressione, istintiva <’u fuoco, ‘u fuoco>) – lo sguardo assassino con il quale mi freddò sull’aereo che avrebbe dovuto portarci a Barcellona ma, una volta in quota, stava incendiandosi (non se la sentiva il Commendatore di andare a Barcellona ma, avendomelo promesso alla partenza, non voleva deludermi; dopo qualche tempo, per puro caso, seppi della sua idiosincrasia per i viaggi in aereo per e da Barcellona, viaggi spesso legati ad alcuni inconvenienti tecnici del mezzo di trasporto e/o a turbe meteorologiche che provocavano ansia, ingeneravano nervosismo e preoccupazione, mettevano a dura prova anche il più saldo sistema nervoso). Altrettanta ‘avversione’ nutriva per lo stadio di Catanzaro dove, per le accese proteste ed intemperanze dei tifosi, rimase a lungo a centro campo dove non era raggiungibile da corpi contundenti prima di poter rientrare negli spogliatoi. Suoi palcoscenici preferiti, ai quali per varie ragioni era legato, il Comunale di Torino, S. Siro a Milano, l’Olimpico di Roma. Qui, per la sua presenza e partecipazione alle Olimpiadi del 1960, fu gratificato dell’onorificenza di Commendatore. Personaggio di grande carisma, il Commendatore de Robbio riscuoteva affetto, stima, rispetto. ‘Da lei non me lo sarei mai aspettato’ la frase con la quale redarguì il famoso Gianni Rivera, <l’abatino per Gianni Brera>, reo di una ‘birichinata’ (e quel giorno il grande campione non brillò come era solito). Gelò Andrea Boscione, storico corrispondente della RAI di Torino, un marcantonio grosso così, che chiedeva lumi sul vero autore di un gol, con un secco ‘a me non certamente’. Un giocatore della nazionale francese dei postelegrafonici particolarmente ‘irrequieto’ nel corso di una partita amichevole con quella italiana, dopo la gara si sentì apostrofare con un ‘ha ragione che siamo in Italia, altrimenti l’avrei preso a calci nel sedere’. Ne aveva anche per Nunziatina Cirillo, concittadina, economa dell’ENAOLI, persona molto per bene, tutta casa, ufficio e chiesa, ricordandole – e lo diceva ad alta voce in modo che tutti, vicini e lontani, potessero sentire – che era uno dei due ‘gigli’ di Torre Annunziata. L’altro, con quello spiccato senso umoristico che gli era proprio e che non mancava mai di mettere in evidenza, era lui. Non dimenticheremo mai – continueremo a serbargli immensa gratitudine ed infinito affetto ricordandolo anche nelle nostre preghiere – il nostro amato Commendatore Francesco de Robbio che non ha mancato occasione per star vicino a me ed ai miei familiari. Ai suoi cari la nostra vicinanza ed il nostro affetto. Paolo Pozzuoli