Maroni e la margherita

 

Michele Ingenito

 

 

“Sciolgo, non sciolgo?, sciolgo non sciolgo? …”  E mentre il Ministro dell’Interno Maroni ‘sfoglia’ la margherita, incalza il dibattito nazionale sul consiglio comunale di Fondi. Come è noto, da molto tempo il Prefetto di Latina Bruno Frattasi e la Direzione Nazionale Antimafia hanno chiesto ufficialmente alle superiori autorità governative il severo provvedimento. In conseguenza di ciò, Frattasi in particolare, si è beccato l’ostruzionismo generale del potere, rischiando di fare la fine dell’ex-Prefetto di Roma, Carlo Mosca, defenestrato lo scorso anno dal prestigioso incarico per essersi opposto ad un provvedimento lesivo della dignità degli immigrati. Per quanto amara possa suonare oggi la soddisfazione per quell’autentico galantuomo non servile al potere e, ovviamente, per questo ‘scaricato’ al Consiglio di Stato, la recentissima posizione dell’Unione Europea contro il governo italiano sulla questione immigrati, illumina ancora di più la saggezza di Mosca per la posizione ferma e cristiana a suo tempo assunta. Confermando, là dove ce ne fosse stato bisogno, la correttezza del suo comportamento. Al suo collega di Latina Frattasi, altro (raro) prefetto abituato a ragionare con la propria testa, finora è andata bene. Proprio perché, forse, passo dopo passo, la questione-Fondi, da locale e tutto al più provinciale, è via via diventata regionale ed, infine, nazionale. Al punto che, a giorni, tutto il fronte nazionale dell’opposizione politica ed associativa piomberà in quel comune, con tutti i suoi vertici.Venerdì 25 settembre, infatti, gli stati maggiori di PD, Idv, Sinistra e Libertà, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Socialisti, le associazioni promotrici Caponnetto e Murales e gli stessi Arci e Cantiere Sociale, riuniti in un Comitato di lotta contro le mafie, piomberanno nel chiacchieratissimo comune della provincia di Latina per una seguitissima manifestazione di protesta. Non a caso interverranno i ‘big’ Dario Franceschini, Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero, Claudio Fava, Piero Marrazzo. Con la partecipazione, tra gli altri, di Rita Borsellino, Ignazio Cutrò, Luigi De Magistris, Francesco Forgione e Tano Grasso.Avere nicchiato, rinviato, negato lo scioglimento del consiglio comunale di Fondi è servito, alla fine, solo a questo. A fare esplodere il caso e a scatenare la inevitabile reazione dell’opposizione. Da più parti è stato rilevato che il vero oppositore a tutto ciò sia stato e sia il capo del governo Silvio Berlusconi. Per mancanza di prove, quali avvisi di garanzia per mafia, nei confronti dei componenti di quel consiglio comunale. Tutto ciò nonostante una apparente disponibilità in tal senso del Ministro Maroni, tendenzialmente favorevole all’adozione di quel provvedimento. Una prova di coerenza e di indipendenza assoluta da parte sua, anche nei confronti del capo dell’esecutivo, sarebbe stata invero opportuna. Il pugno duro della reazione e delle contromisure adeguate lo si esercita (e giustamente) non solo quando la privacy di un premier viene scomodata per colpa di stelle e stelline. Ma anche e soprattutto quando è l’intero paese a subire i danni della presenza della malavita nella cosa pubblica.A nostro parere, quindi, il governo ha commesso un grossolano errore finora, rifiutando di sciogliere il consiglio comunale di Fondi. Dando, così, all’opposizione un inatteso vantaggio politico. Sono anni che il Lazio affoga nella turbolenza mafiosa che l’assilla. E’ evidente che quegli interessi sopravvivono e si impongono in virtù di un sistema di potere fatto di collusioni a tutti i livelli istituzionali. I Frattasi di turno si contano sulle dita di una mano. E quei pochi come lui rimasti vengono sistematicamente schiacciati se solo ci provano a ribellarsi e a denunciare. Di solito muoino per ‘depressione’ o ‘delusione d’amore’. O, se gli va bene, vengono fatti marcire nel dimenticatoio dell’isolamento e dell’abbandono.E’ quanto accaduto, purtroppo, ad uno splendido uomo meritevole della divisa indossata. Il capitano della Guardia di Finanza Fedele Conti, comandante della Compagnia di Fondi. Fedele, per ironia della sorte, al giuramento prestato. Ma infedelmente maltrattato, in conseguente ‘gratitudine’, dallo Stato al quale egli aveva votato la propria causa e la propria missione.Conti si è suicidato perché aveva capito tutto, perché aveva letto e studiato gli atti di indagine con autonoma capacità di valutazione e conseguente determinazione nell’andare fino in fondo. Ma, come sempre accade, qualcuno, e chi se non a livello istituzionale, deve avergli fatto muro a suo tempo. Mettendo, così, l’uomo e l’ufficiale dinanzi alla propria coscienza e, in virtù di principî evidentemente sani e onesti di una formazione di origine, dinanzi alla conseguente determinazione di agire comunque. Senonché, gli ostacoli inaccettabili ulteriormente seguiti ne hanno determinato ulteriore delusione, depressione, crollo nella fede di quei valori ai quali si era ispirato, costringendolo a porre fine ai propri giorni in giovanissima età.Quando esploderà la verità sulla sua morte e quando la consorteria di potere, affari, carriere, investimenti, collusioni vedrà saltare i propri equilibri, uno stato più credibile e pulito dovrà pure restituire l’onore alla memoria del capitano Federico Conti. Ma, a quel punto, la partita per il PdL sarà perduta. Perché molti voti saranno già transitati automaticamente dall’altra parte. Voti, quelli sporchi, che, dispiace dirlo, l’attuale compagine governativa sta facendo di tutto per salvare perché di appartenenza.Forse si è ancora in tempo, nonostante tutto. Forse Maroni, probabilmente ostaggio del principale alleato di governo e, chissà, del suo stesso partito, la Lega Nord, può ancora recuperare la ‘partita’ riducendo al massimo il conseguente danno politico. Per il PdL, per la Lega Nord, per la sua stessa immagine di un ministro degli interni coerente con quanto da tempo va dichiarando in riferimento ai risultati oggettivamente brillanti conseguiti dal suo dicastero contro tutte (o quasi) le mafie.Anche a Fondi ce n’è una, ministro, che collude con i poteri locali. Lasci perdere le giustificazioni finora addotte per negare lo scioglimento. C’è un suo Prefetto sul posto, non servile, non ambiguo, non colluso moralmente, soprattutto non carrierista e, quindi, con lo sguardo non rivolto alla vela in ragione dei soffi del vento. Un vero ed integro servitore dello stato, quindi. Non un passacarte del potere. Lo ascolti allora. Così come ascolti i giudici della DNA propugnatori del medesimo provvedimento. Agisca da ministro, Maroni, prima che da uomo politico inevitabilmente di parte. Perché il dramma di Renée e, quindi, di Fedele Conti non diventi il dramma di un’intera collettività. Dramma che, come magistralmente descritto da Marguerite A. Sechehaye in “Diario di una schizofrenica” (tutt’altro che tale), non nasceva dalla malattia in sé della bambina, ma dal Sistema che su di lei pretendeva di imporsi. Un Sistema che opprime e incalza, abusando di te ed esercitando per questo contro di te tutta la sua violenza e la sua prevaricazione. Fino ad isolarti, a distruggerti, ad ucciderti.Renée, alla fine, ne uscì indenne, benché bambina. Reagendo, combattendo, salvandosi, grazie all’aiuto della mamma. Non il povero Conti però. A cui sfavore pendeva una divisa militare all’interno della quale il conflitto tra verità (quella autentica, la sua) e ordini (quelli che imponevano rispetto e obbedienza) si risolse fatalmente a favore dei secondi. Privo dell’aiuto dello Stato, alla cui assenza e complicità alla fine si arrese, ma a prezzo della morte. Anche per lui i maggiori leader dell’opposizione politica e delle associazioni antimafie d’Italia incalzeranno il 25 settembre prossimo l’Antistato che ci ‘governa’ e tutti coloro i quali, sostendendolo, lo difendono e lo rafforzano.