Sos: orfani di solidarietà!

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Salerno: disagio, in città. Da tanto si guarda alle panchine del Lungomare, sperando che nessun clochard, accovacciato, non dia segnali di vita. E’ avvenuto anche mattine fa. Nel pieno della coda autoveicolare dei bagnanti, pronti al tuffo nell’azzurro delle piscine, giacchè la balneazione nostrana, piuttosto rischiosa. Con la schiuma galleggiante ed il colore torbido dello specchio marino. L’urlo lacerante della sirena. Lo zig zag inclemente, prima d’accostarsi al marciapiedi del Lungomare. E portarsi dietro la valigetta di primo soccorso. Un barbone, su una panchina, esanime. Un ennesimo caso di abbandono. Al quale l’Amministrazione comunale non dà risposte. Tranne quelle di sgomberare la città dai vagabondi. Ma ogni agglomerato urbano, ha i suoi ospiti indesiderati. I senza fissa dimora, un tempo presso le cabine telefoniche, destinati a lievitare prossimamente, a causa della grave penuria economica. Non meraviglia affatto trovare qualche ben vestito ospite, anche alla Mensa San Francesco, ideata da Mario Conte, l’unica garante di un ristoro ai disagiati! In una città in cui si promuovono opere turistiche, stagioni teatrali, infrastrutturali per il Santo Patrono, non lo si onora proprio con le opere verso gli ultimi. “I poveri, sempre con voi” rimanda il Vangelo. Da oltre Duemila anni, queste parole del Cristo senza smentite. Malgrado si cerchi di “ramazzare” il vagabondaggio, questo continua a spuntare. Il bisogno, direttamente proporzionale al caro vita. Salerno non ha poli di referenzialità contro la vita randagia.  “Vite in strada”  senza flessioni. Alla vigilia dell’insediamento del sindaco Vincenzo De Luca a Palazzo di Città, solo il volontariato, quello che spontaneamente ala le buone intenzioni, il referente per un pasto o per un ricovero notturno ai clochards. Oltre la Mensa San Francesco ed il dormitorio di Via Bottiglieri, nessuna struttura che ospiti il disagio. Entrambe le realtà,  comunque insufficienti a soddisfare le richieste. Unica eccezione, il polo nella zona orientale voluto da don Ciro Torre, sotto l’egida delle religiose assistenti. La Caritas diocesana, fa quel che può. L’Unità di strada contina il suo corso. Che con l’arrivo dell’inverno implora un tetto, al posto del cielo stellato. Ed un materasso, invece dell’asfalto. La stazione ferroviaria, snidante le povertà del terzo millennio, non può ancora fungere da recettore di malvivenza ed inedia. Gli Enti migrano a riguardo. E drizzano il timone verso altri orizzonti. Il disagio fa storcere il muso. Allungare il passo. Perchè scomodo. Il chiacchiericcio politico, dinanzi ai fatti da realizzare, scema. Solo Conte,  arbitro di un tetto alla carità, garantendo il cibo agli affamati. Ed il dormitorio, con i suoi pochi letti a castello, la gestione del diacono, albergo più di stranieri che di autoctoni. Ancora sterili promesse, da immolare sull’altare delle prossime elezioni regionali?