Nuovi mali o mali di sempre?

 Giovanna Rezzoagli

Sul sito Internet dell’ANSA si trova oggi pubblicata una notizia di cronaca estera molto particolare: in Cina giovani adolescenti “drogati” dall’utilizzo eccessivo di Internet vengono ricoverati dai loro genitori in apposite cliniche per guarire dalla loro dipendenza. Il corrispondente Beniamino Natale riporta nel suo articolo la notizia della morte di un giovane quindicenne ed il ferimento di un ragazzo di soli quattordici anni, avvenuti proprio in queste cliniche pochi giorni fa. Il giornalista evidenzia il proliferare di queste strutture su tutto il territorio cinese, sottolineando che spesso il personale che vi opera è privo di qualifiche e, pertanto, inesperto ed impreparato a gestire situazioni di disagio. Nell’articolo si evidenzia inoltre un aspetto sociologico molto importante, che giustificherebbe il ricovero di questi giovani su richiesta delle loro famiglie: il profitto scolastico, in netto calo nei giovani che passano troppe ore navigando su Internet. Questa la sintesi della notizia, che permette di approcciare il tema delle dipendenze, che rappresentano una problematica sociale con un impatto sempre più preponderante. Nel linguaggio comune, sia scritto che parlato, il termine dipendenza viene in genere utilizzato per indicare la condizione psicofisica generata in un soggetto dedito all’abuso di sostanze stupefacenti. La dipendenza è  una modalità relazionale attraverso la quale un soggetto si rivolge, in modo continuativo, ad altri soggetti ed/od a oggetti al fine di conseguire una gratificazione, un sostegno, un aiuto. L’individuo dipendente fonda la propria autostima sull’approvazione altrui e tende a ricercare rassicurazioni interiori  utilizzando un vettore esterno, che può essere sia un oggetto, sia un’ ideazione di tipo ossessivo-compulsivo ( che determina ripetizione di azioni e/o rituali), come ovviamente, un’altra persona. Si parla correttamente di dipendenza da alcol, droghe o farmaci, solo in ambito psichiatrico. Il comune denominatore riscontrabile in tutti i soggetti che sviluppano una dipendenza è dato dalla scarsa fiducia in se stessi. Può l’uso di Internet determinare condizione di dipendenza? La risposta è si, e lo stesso vale per qualsiasi elemento che assuma fondamentale importanza soggettiva per un individuo. Non è un caso che la maggior parte delle dipendenze si sviluppino in età adolescenziale e che il fenomeno coinvolga soggetti sempre più giovani. L’adolescente è insicuro a livello fisiologico, vulnerabile perché con una personalità non completamente strutturata e, nel contempo condizionato dai modelli culturali odierni a “bruciare le tappe”. Una problematica è oggettivamente tale indipendentemente dal contesto in cui si sviluppa, la percezione sociale che di essa si sviluppa è, al contrario, fortemente modulata dal contesto culturale in cui si manifesta. La società cinese valuta molto negativamente il giovane che non ottiene buoni risultati scolastici, in questa ottica si comprendono meglio le motivazioni che spingono i genitori ad ospedalizzare i figli per “curare” la dipendenza da Internet, purtroppo le terapie di “disintossicazione” sono volte ad una rieducazione di tipo oppressivo e non comprensivo del problema. In Italia non è ancora diffusa la percezione della “dipendenza da Internet”, non perché i nostri ragazzi trascorrano meno tempo davanti al computer dei coetanei cinesi, ma perché non si reputa (ancora) questo comportamento come problematico. Non solo perché il genitore italiano medio presta meno attenzione al rendimento scolastico del proprio figlio/a. Esiste una tendenza a sottovalutare la tematica del disagio giovanile, confinandolo erroneamente alle situazioni di degrado sociale. Nelle famiglie, allargate o meno, si parla poco. Non si preparano i figli agli inevitabili insuccessi nella vita. In ambito scolastico non ci si interessa della reale efficacia didattica dell’azione educativa, ma solo di non avere problemi, e che i figli non vengano bocciati: la scuola finora ha assecondato per non avere a sua volta problemi di ritorno. Ci preoccupiamo di nutrire i loro corpi, all’eccesso, ma ci occupiamo di come  si nutre la loro mente? Sappiamo quale libro hanno letto per ultimo i nostri figli, sempre che abbiano letto un libro? E’ un esempio banale, ma concreto. Gli chiediamo spesso: “Come stai?” oppure: “A cosa pensi?”, magari la risposta è un’alzata di spalle, ma non dimenticheranno la domanda, anche se non avranno la risposta.