Svizzera, dialetto e Magna Grecia

 

 

 Michele Ingenito

La bufera di origine ereditaria di casa-Agnelli, che attualmente contrappone figlia e madre dell’Avvocato, ha messo in subbuglio l’opinione pubblica italiana. Non tanto per gli aspetti personali e poco edificanti della vicenda, che ha dato origine alla disputa. I tribunali civili italiani sono pieni, infatti, di cause del genere. Perché, per quanto vile, il denaro è sempre al centro dei tormenti e delle risse delle parti in causa, camuffato o meno che sia dai principî degli uni, dai valori degli altri, dalle verità di tutti. Il subbuglio mediatico di questi giorni nasce, invece, non solo dalla entità delle somme di denaro che, a dire della stampa, sarebbero state depositate in Svizzera dall’ex-senatore della Repubblica italiana: circa due miliardi di euro. Ma dal fatto che tale “tesoretto”  avrebbe consentito agli Agnelli di evadere le leggi del nostro stato in materia di deposito di capitali privati all’estero, con conseguenti vantaggi economici personali non consentiti. Non a caso l’Agenzia delle Entrate italiane, chiamata in causa dall’azione giudiziaria intrapresa da una componente della famiglia, avrebbe avviato un’indagine approfondita per le opportune verifiche.Non sta a noi sindacare l’operato degli Agnelli e, in particolare, del defunto Avvocato. Si fa fatica, infatti, a ritenere che l’ex-senatore possa lui per primo avere violato le leggi dello stato all’epoca vigenti. Almeno sotto il profilo penale. In tal senso, infatti, la Procura della Repubblica competente si sarebbe già espressa negativamente. Rimane, però, l’amaro in bocca al pensiero che, ove una tale supposizione sul fatto in sé dovesse rivelarsi fondata al termine delle indagini in corso, l’esempio fornito agli italiani dagli Agnelli non sarebbe (stato) tra i migliori. Non solo,ma legittimerebbe (si fa per dire)il comportamento di coloro che, in un modo o nell’altro, evadono le tasse. Tanto, penseranno, se l’esempio che proviene dall’alto è questo, perché preoccuparsi più di tanto? Non è un bel pensare, naturalmente, né un bell’agire. Ma, nel paese delle forme e delle apparenze, dove è prassi decidere a tavolino chi, se e quando perseguireinvece di farlo perché la legge lo impone, situazioni del genere consolidano i comportamenti degli astuti, evasori inclusi. Che, come è noto, abbondano e si moltiplicano. Tra tutte le specie e le categorie: commerciali, industriali, professionali, individuali e così via. Le quali, da simili vicende, traggono ‘insegnamenti ‘ contrari a quelli in realtà dovuti.  A ciò si aggiunga la reazione non urlata, ma profonda, della della stragrande maggioranza della popolazione italiana. La quale, disorientata da simili vicende, coltiva giustamente il sospetto sulla fondatezza di questa triste storia e l’intimo convincimento che, se il pesce continua a puzzare dalla testa, …!  Ultima considerazione. Se dalle indagini dell’Agenzia delle Entrate dovesse emergere un comportamento effettivamente in contrasto con le leggi italiane dell’epoca in materia di deposito di capitali privati all’estero da parte del celebre Avvocato, il primo ad avere diritto di replica sarebbe l’ex-Presidente del Consiglio Ciriaco De Mita. Il quale, se non ricordiamo male, in quelle vesti o meno, ma nelle funzioni di elevato potere istituzionale all’epoca certamente ricoperto, fu ritenuto dalla stampa il destinatario di un complimento (in realtà di un dileggio) divenuto poi celebre ed espresso dal vero padrone d’Italia, Gianni Agnelli. Un ‘complimento’ concretizzatosi nella dispregiativa espressione di  “filosofo della Magna Grecia”. Per i suoi ragionamenti politici (ed economici?) probabilmente contorti e per la loro conseguente esposizione non meno felice.  Sarà. O sarà stato. Ci sorge, però, il dubbio. E se, al centro di quei ragionamenti così contorti di De Mita ci fosse stato anche il tentativo di far capire agli italiani (Agnelli incluso) che il deposito  di capitali privati all’estero non era cosa lecita? Forse ha ragione Bossi. Per capirsi e capirci meglio si introducano i dialetti nel nostro sistema educativo e formativo scolastico. Magari insieme alla lingua italiana. Il punto è. Se Agnelli non capì i ragionamenti di un filosofo sia pure della Magna Grecia su un principio così elementare (divieto di esportare i capitali privati all’estero), fraintendendolo e, quindi, sbagliando non per colpa propria, è lecito supporre che lo stesso Agnelli avrebbe capito meglio il dialetto del re di Nusco pronunciato dai palazzi romani? Ci pensi allora Bossi a mettere in trono il suo dialetto e, per par condicio, quelli altrui. Cultura e tradizioni popolari non hanno bisogno di leggi per essere tutelate. Sopravvivono, e bene, da sole. Senza l’ostentazione di questi giorni. Vedi i quotidiani locali di Bossi e soci. Salvo a volerle strumentalizzare per fini diversi, che, prima o poi, passo dopo passo, legge dopo legge, si tradurranno nelle nuove frontiere d’Italia. Quelle lombardo-venete o, peggio, quelle tra un’Italia del Nord e/o del CentroNord e un’Italia del Sud ed insulare.Quanto a De Mita, a lui il diritto di replica sul caso-Agnelli. Di ieri e di oggi. Ma ne rimarrebbe contento il (defunto) senatore?