Lo sviluppo stadiale del bambino secondo Piaget

 Giovanna Rezzoagli

La Psicologia dell’età evolutiva , nota anche con l’accezione di Psicologia dello sviluppo, è la parte della Psicologia che studia i processi di cambiamento che si verificano durante la crescita. Oggi si preferisce la denominazione “psicologia dello sviluppo”, perché si ritiene che lo sviluppo psichico continui per tutto l’arco della vita, anche se l’età compresa tra la primissima infanzia e l’adolescenza è la fase in cui l’evoluzione è più veloce e le trasformazioni sono più rilevanti. Iniziata nell’Ottocento, in seguito agli interessi suscitati dalle teorie evoluzionistiche, la ricerca scientifica sullo sviluppo infantile ebbe il suo maggior incremento intorno ai primi anni del Novecento. Negli anni Venti numerosi scienziati statunitensi diedero inizio a un filone di studi che aveva per obiettivo l’osservazione su larga scala dei bambini e delle loro famiglie. Nello stesso periodo in cui si diffondeva l’interesse per gli studi basati sull’osservazione, prese piede, nell’opera di molti studiosi, l’idea che l’ambiente incidesse in modo determinante sullo sviluppo e sul comportamento dei bambini. Sigmund Freud, che riteneva molto importanti gli effetti delle variabili ambientali sullo sviluppo del bambino, evidenziò in modo particolare l’importanza della figura dei genitori nei primi anni di vita. Anche lo psicologo statunitense John Broadus Watson sottolineò il ruolo fondamentale svolto dall’ambiente nello sviluppo del bambino. All’inizio degli anni Sessanta particolare attenzione fu rivolta al lavoro di Jean Piaget, che fin dagli anni Venti si era dedicato allo studio dello sviluppo cognitivo del bambino. Piaget si autodefiniva un “epistemologo genetico” – cioè uno studioso delle origini della conoscenza umana – e le sue teorie produssero importanti cambiamenti metodologici nella psicologia dell’età evolutiva, integrando il metodo sperimentale con quello osservativo o “clinico” e sostenendo che le variabili biologiche e quelle ambientali interagiscono nella determinazione del comportamento. Piaget riteneva che, fin dalla nascita, gli esseri umani sono in grado di ricorrere a un apprendimento attivo, senza bisogno di incentivi esterni. Secondo la sua teoria, lo sviluppo cognitivo del bambino avviene attraverso quattro stadi: “stadio I o dell’intelligenza sensomotoria” (dalla nascita ai 2 anni), in cui il bambino passa da movimenti riflessi, disorganizzati e innati (quali ad esempio la suzione), a comportamenti che riflettono l’acquisizione di concetti semplici (come prendere un giocattolo posto su un tappeto tirando il tappeto stesso); “stadio II o del pensiero preoperatorio” (2-7 anni), caratterizzato dal crescente ricorso a simboli astratti, come nel caso del gioco simbolico (una bambina finge di cucinare del cibo per la propria bambola); “stadio III o del pensiero operatorio concreto” (7-11 anni), in cui si assiste all’acquisizione di capacità relativamente sofisticate di risoluzione di compiti e al conseguimento di modalità conservative del pensiero (il che permette, ad esempio, di capire che recipienti di forma diversa possono contenere la stessa quantità di acqua); “stadio IV, o del pensiero operatorio astratto” (dai 12 anni in poi), contraddistinto dalla capacità di formulare ipotesi a partire dall’osservazione della realtà e dedurre nuovi concetti sulla base di concetti già acquisiti. Lo sviluppo infantile comprende vari aspetti: cambiamenti comportamentali, cambiamenti emotivi, adattamento sociale. Esiste un accordo generale sul fatto che lo sviluppo del bambino sia determinato dall’azione congiunta di fattori biologici e ambientali, anche se non è ancora stata determinata l’importanza relativa al patrimonio genetico individuale. La ricerca ha messo in luce come entrambi i fattori (genetici e ambientali) concorrano a determinare il funzionamento intellettivo. La componente genetica incide anche su particolari caratteristiche di personalità, quali l’introversione e l’estroversione, il livello di attivazione, la predisposizione a taluni disturbi mentali. La capacità di comprendere e comunicare è uno dei maggiori traguardi raggiunti dall’essere umano. Una caratteristica sorprendente dello sviluppo del linguaggio è la velocità con cui esso viene acquisito: la prima parola viene pronunciata intorno ai 12 mesi e, entro i due anni, la maggior parte dei bambini possiede un vocabolario di 270 parole, che diventano 2600 a sei anni. Partendo dal presupposto che è quasi impossibile stabilire il numero di frasi che si possono costruire all’interno di una lingua, è certo comunque che i bambini cominciano a utilizzare proposizioni sintatticamente corrette fin dall’età di tre anni e frasi altamente complesse all’età di cinque. Le teorie della personalità sono descrizioni di come le persone si comportano al fine di ottenere dall’ambiente la soddisfazione dei propri bisogni fisici e psicologici. Se questi bisogni non vengono soddisfatti, si possono verificare conflitti interiori che, in certa misura, sono inevitabili, ma che possono provocare disturbi nello sviluppo. La formazione della personalità è considerata un processo attraverso il quale i bambini imparano a evitare e a gestire i conflitti. In questo senso, è importante la reazione del contesto familiare, in quanto genitori eccessivamente restrittivi o, al contrario, eccessivamente permissivi limitano la possibilità dei bambini di confrontarsi con le proprie difficoltà. Lo sviluppo dei bambini è condizionato dall’atteggiamento e dal comportamento dei genitori nei loro confronti; i genitori sono a loro volta influenzati dalle caratteristiche dei figli: ad esempio, bambini disabili richiedono maggiori attenzioni e inducono nei genitori una maggiore attenzione. Molti studi hanno dimostrato, inoltre, che il comportamento dei genitori nei confronti dei figli varia ampiamente, oscillando dalla rigidità al permissivismo, dal calore all’ostilità, dal coinvolgimento ansioso al calmo distacco. Tale varietà di atteggiamenti produce differenti modelli relazionali nelle famiglie: l’ostilità e il permissivismo nei genitori, ad esempio, sono spesso associati ad aggressività e intrattabilità nei figli; un comportamento particolarmente protettivo, invece, può provocare dipendenza e obbedienza da parte dei bambini. Anche le modalità punitive influenzano il comportamento: i figli di genitori che ricorrono frequentemente alla punizione corporale tendono a usare l’aggressione fisica, più di quanto non facciano, in media, i loro coetanei. Sembra, quindi, che l’imitazione dei genitori sia uno dei modelli principali del comportamento infantile.