Ocse: Scuola bocciata? Non l’Università. Dal tragico al comico

 Michele Ingenito

Il tragico. Dicono che un articolo di stampa valga molto più di diecimila denunce. Vediamo se è vero, vista l’inutilità di quelle denunce antiche, recenti e recentissime. Tanto per cominciare, incluse quelle inviate a Lei, Signor Ministro, ed ai suoi più stretti collaboratori. Partiamo dalla premessa, che ‘buca’ quest’oggi le prime pagine di tutti i quotidiani. L’OCSE boccia la scuola italiana. Giudizio pesantissimo. Una tragedia, che si abbatte sull’intero sistema-Paese. Una scuola bocciata vuol dire una futura classe dirigente pubblica annacquata, tirata su tra ignoranza, ‘calci’ e privilegi a danno dei migliori, privi delle giuste protezioni. Dal diploma alla laurea, dalla laurea fino alla cattedra universitaria. Basta avere un affettuoso papà a capo di una banca o banchetta di periferia, accreditare qualche centinaia di migliaia di euro (o ex-milioni) a fondo perduto a favore dell’istituzione privata di proprietà dell’indiscusso boss accademico del ramo scientifico desiderato, pubblicare una qualche robaccia grazie all’ufficio studi creato ad hoc dalla banchetta e, “Voilà! Les jeux sont faits!” Il genio fatto in casa se ne va in cattedra, cattedra di prestigio naturalmente, e campa di rendita per almeno 30 o 40 anni. Tanto dura la carriera accademica del soggetto privilegiato. Se, poi, tutto questo va a discapito della banca o banchetta che, nel frattempo, se ne è andata a pallino, chi se ne frega! Tanto, pagano i risparmiatori in prima persona, che falliscono. E coloro che, subentrando, ricapitalizzano la banchetta. Di solito con i contributi dello stato. L’importante è che l’aspirante-bamboccione sia emerso, affermandosi. nel pubblico. E, ovviamente, nel privato. Può sembrare un paradosso. E forse lo è. Ma è quel che potrebbe accadere, e che talvolta accade, per malcostume certamente. E per immoralità. Ma, anche e soprattutto, per quella mentalità tutta italica che, per generazioni, si è imposta nel sociale. In virtù della quale la cultura, specie ai livelli alti della società, è un biglietto da visita da trasferire concretamente ai propri eredi incapaci di conquistarselo per le vie normali. Anche questo contribuisce al fallimento della scuola italiana, e non solo, appena sancito dall’OCSE.

Il comico. Il colmo del paradosso, invece, l’abbiamo raggiunto proprio di recente. Allorquando, di questa scuola pubblica disastrata, non per singole colpe o di singole categorie, bensì di un intero sistema evidentemente marcio a più livelli, certa università italiana ha fatto incetta. Dispiace doverlo ribadire pubblicamente. Ma l’esempio più clamoroso riguarda proprio la nostra università. E, in particolare, la Facoltà di Economia. Dove, per anni ed anni, un nucleo di non esperti del ramo (chiamiamoli così per educazione), benché accademici di professione, si è sostituito ai colleghi linguisti, ed ha stabilito che le conoscenze di lingua straniera acquisite presso le scuole statali pubbliche e private (potenzialmente scuole elementari, medie inferiori e medie superiori, teoricamente anche materne là ove si studia(va) l’inglese) o presso non ben identificati istituti regionali o di altra natura fossero più che sufficienti per donare, sì donare, sei crediti formativi universitari ai propri studenti. “A caval donato” – come si sa “non si guarda in bocca!”. E, quindi, gli interessati si sono fiondati a centinaia e centinaia. Crediti formativi di francese, di inglese, di spagnolo e di tedesco, regalati così! Un ‘cadeau’ per un ‘cadeau’. Senza alcuna apparente e giustificata finalità in sé. Un regalo per essersi iscritti a quella università e, in particolare, a quella facoltà? Una sorta di promozione o di marketing ‘sui generis’ sul territorio? Per guadagnarsi qualche centinaio di studenti in più in concorrenza certamente non leale con gli atenei della regione? Non si è mai capito. Almeno ufficialmente. Ancora oggi, quindi, insistiamo nel non capire questo ‘coup de soleil’ generosamente calato sul capo di entusiasti (o stupìti?) beneficiari, gli studenti. Non certo le loro famiglie!Capite? Capisce soprattutto Lei, Signor Ministro Gelmini? Tutto questo senza consultare i professori di lingue della Facoltà, ignorandone ripetutamente ruolo, funzioni, disponibilità, reiterate denunce e, cosa che definire gravissima è il meno, con l’avallo di una commissione di “esperti” ai massimi livelli interni (e meno male!), tra cui una pilatesca Preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, incaricata ad hoc dal rettore di confermare o meno la fondatezza delle segnalazioni su quello scandalo in itinere! Una farsa nella farsa, insomma, di cui riteniamo tutti i protagonisti, a dir poco moralmente e culturalmente, responsabili. Ora, Signor Ministro Gelmini, atteso che, dietro questa grottesca vicenda, che illumina di nero l’interpretazione fatta da alcuni atenei italiani del concetto di autonomia, i veri ispiratori preferiscono, come loro costume, nascondersi dietro il ridicolo e falso paravento di una ben più complessa vicenda interna alla facoltà. Una boutade qualunquista, che nasconde evidentemente ben altro e che, comunque, nulla ha a che vedere con altre vicende. Le pare giusto, infatti, che la gente paghi fior di quattrini mandando i propri figli all’università pr una formazione superiore, incluse le lingue straniere (in particolare l’inglese) in facoltà fondamentali come quelle di Economia, e debbano, invece, accontentarsi di quanto quegli stessi figli hanno già studiato in precedenza, nelle scuole statali, cioè, di ogni ordine e grado, o nelle scuole private di provenienza o, peggio, presso non ben definite scuole regionali? Vede, certe Facoltà di Economia quale quella sopra citata, ancora oggi giustificano (e non a torto sul piano rigorosamente formale) la mancata attivazione nei curricula di insegnamenti linguistici (nonostante la contestuale presenza di professori di ruolo regolarmente in servizio), sostenendo che la legge in vigore non ne contempla l’obbligatorietà. E se la facoltà di Economia di Salerno ne include qualcuno, la sensazione è quella di salvare la faccia, cioè l’immagine. Una sorta di specchietto per le allodole. Tanto, un insegnamento di “Lingua Inglese Progredito” e uno di “Lingua Inglese Avanzato” non inseriti nei curricula, a scelta tra altri insegnamenti a dir poco irrilevanti e per giunta sostituibili l’uno con l’altro, vogliono dire insegnamenti linguistici insussistenti, frequentati nella migliore delle ipotesi da pochissimi studenti non adeguatamente stimolati, e docenti di ruolo di fatto a spasso. E, ciliegina sulla torta, si utilizza, infine, il proprio bilancio interno per affidare la formazione linguistica dei propri studenti, una volta di competenza delle cattedre tuttora esistenti, ad un centro linguistico di ateneo tradizionalmente di supporto e non sostitutivo delle attività delle cattedre di lingua straniera comunque attivate presso le Facoltà. A titolo gratuito, penserà. Manco per idea. Ma per decine di migliaia di euro l’anno. Evidenziando, così, una gestione delle risorse a dir poco discutibile e difficilmente compatibile con sani ed equilibrati principî contabili. Checché ne pensino i pur apprezzati uffici legali di ateneo cautelativamente consultati.E vuole, Lei, Signor Ministro, che una facoltà come quella citata, che si è accontentata per anni di una frequenza scolastica quasi mai effettivamente accertata nei termini ufficialmente richiesti presso questa scuola pubblica (e privata) oggi sonoramente bocciata dall’Europa, possa immettere sul mercato giovani professionisti formati adeguatamente, attesa l’incompletezza del proprio percorso formativo in virtù di conoscenze linguistiche non acquisite attraverso corsi di insegnamento inseriti nei curricula e necessariamente specialistici? A cosa servono, anche in termini di immagine, una laurea triennale in Economia ed una laurea magistrale sempre in Economia, se nel curriculum dello studente non compaiono almeno due esami obbligatori di lingua straniera, uno dei quali di lingua inglese? Quali chances reali avranno quegli studenti del Sud rispetto ai loro colleghi del Centro e del Nord? Certo, Lei dirà, forse proprio ispirandosi anche all’esempio indecoroso offerto per anni da quella facoltà di Economia dell’Università di Salerno, il Ministero è intervenuto lasciando chiaramente intendere, in una apposita nota ai rettori italiani, la possibile illegittimità dei titoli di studio rilasciati sulla base di convalide per esperienze formative pre-universitarie di dubbia validità. Un rischio serissimo che tuttora sussiste e che potrebbe determinare, prima o poi, l’annullamento dei titoli di studio già rilasciati, così come di quei crediti formativi tanto sportivamente regalati agli studenti di Economia di Salerno con modalità a dir poco discutibilissime. Roba da far saltare il bilancio dell’intero ateneo, atteso che, in una simile eventualità, le potenziali rivendicazioni di centinaia, se non di migliaia di studenti, quasi certamente legittimati a rivalersi direttamente sull’istituzione accademica per i propri inammissibili, consapevoli e reiterati errori, avrebbero altissime probabilità di essere accolte da chi di competenza. E tutto questo perché? Per l’arroganza di un ristrettissimo numero di personaggi, forse solo incompetenti in materia, ma, proprio per questo, culturalmente pericolosi per l’intera collettività.Tra tragico e comico, non Le resta, allora, Signor Ministro Gelmini, Lei, persona di indubbia sensibilità, intelligenza, indipendenza e onestà intellettuale, che approfondire la questione per le vie opportune. Ma, soprattutto, di agire in termini legislativi, reintroducendo da subito nella riforma degli insegnamenti universitari, la obbligatorietà degli insegnamenti linguistici nelle facoltà di Economia italiane.