La “terza media” di Giulio Facchi

Aldo Bianchini

I due magistrati della DDA presso la Procura della Repubblica di Napoli che hanno richiesto ed ottenuto l’arresto dei “quindici scienziati” docenti universitari (tra i quali il nostro preside di ingegneria Vito Cardone) hanno definito Giulio Facchi (già sub commissario di Bassolino all’emergenza rifiuti in Campania) “un soggetto munito di diploma di scuola media inferiore, privo di adeguati titoli”. Lo si voglia o no i due bravi magistrati con la scoperta del piccolo titolo di Facchi e la sua pubblicizzazione hanno riportato a galla l’eterno dilemma sul “valore legale del titolo di studio”. Il grande Luigi Einaudi, in una sua celebre “predica inutile” diceva: “La fonte dell’idoneità scientifica, tecnica, teorica o pratica, umanistica o professionale, non è il sovrano o il popolo o il rettore o il preside o una qualsiasi specie di autorità pubblica; non è la pergamena ufficiale dichiarativa del possesso del diploma. La fonte della scienza è la scienza.”  Dimenticava Einaudi, purtroppo, che ciò che conta in Italia non è il valore in sè ma “il valore legale che vale anche se non vale” e in quanto vale legalmente può essere utilizzato anche per coprire l’illegalità. Ecco perchè, dunque, Giulio Facchi è libero e quindici soloni universitari stanno in galera; nessuno però ricorda che Facchi prima di approdare a Napoli era stato a lungo “assessore all’ambiente” del Comune di Milano, e quindi qualcosa doveva pure saperla in materia. Ebbe il coraggio di scrivere che il “cdr” di Santa Maria Capua Vetere non era idoneo ed oggi è libero anche se proprio da quella relazione (e non solo!!!) cominciarono i suoi guai “politici” nei rapporti con la Regione e con lo stesso Bassolino; altri hanno attestato l’idoneità di quel sito e sono in manette: tutta quì la vicenda. Macchè!! Qualcuno ha scritto che: “L’assenza del titolo di studio constata fatti e verità, mentre l’esistenza del titolo di studio fornisce dei collaudi che sarebbero non corrispondenti al vero.” Fortunatamente non è così, anzi non è quasi mai così. E’ evidente che la virtù e la conoscenza non possono essere garantite dal timbro di legalità dello Stato e che, anzi, l’unica cosa che il timbro della legalità statale garantisce è l’utilizzo dei suoi timbri per ignorare leggi, fatti e verità. Ma ciò attiene specificamente alla coscienza personale dell’individuo che nulla ha a che fare con il timbro di legalità dello Stato che rimane, fortunatamente, come una discriminante tra il valore medio della cultura e il disvalore della stessa. Quello che lo Stato non riesce a fare è il riconoscimento del “valore alto della cultura” senza farsi influenzare  dalla discriminante del valore legale del timbro (come il caso del ricercatore abruzzese per il terremoto). La storia ci insegna, ma nessuno ne tiene conto, che l’assenza del timbro di legalità molto spesso induce l’individuo ad una maggiore prudenza ed al massimo impegno per dimostrare a tutti il proprio valore, al di là dello sterile timbro. I giudici, almeno i due di Napoli, questi esercizi mentali ovviamente non li hanno praticati; si sono fermati al diploma di scuola media inferiore di Facchi senza accorgersi che lo stesso sub-commissario aveva sottoscritto anche un’altra relazione (cinque pagine in tutto) con  la quale spiegava le ragioni delle trasferenze della “monnezza” e del perchè a Salerno il problema sembrava non esistere. Ma queste sono cose che attengono il livello più generale di democrazia che in Italia è malata anche perchè la Scuola non è libera, Facchi docet.

2 pensieri su “La “terza media” di Giulio Facchi

  1. Grazie per questo edificante articolo. Ho già scritto di Michael Faraday (che qualche maligno dice di essere stato “la più grande scoperta di Davy). Era un uomo privo di qualunque titolo di studio, che ebbe la fortuna di essere assunto da Davy alla Royal Society poco meno che “tecnico”. Qui da semplice “Mister” scoperse tutto l’elettromagnetismo, perché aveva quelle capacità analitiche necessarie e un profondo interesse per la “Filosofia Naturale”. E ci tenne sempre orgogliosamente al suo titolo di semplice “Mister” rifiutando il “Sir” e la presidenza stessa della Royal Society.
    Esistono nella Scienza Italiana Uomini simili? Sicuramente no perché la Scienza Italiana non contempla i “senza titolo” e i “senza carriera”. Il mio assistente di Laboratorio G. B. B. era un “Faraday” che faceva funzionare tutto un Istituto sostituendosi spesso al Docente (incapace)nel presentare le esperienze di Fisica con una lucidità ed una conoscenza da lasciare sbalorditi. Non mi vergogno io “Professore Associato non chiamato” di dovere solo a lui e non ai baroni universitari quella buona e sana Fisica che ancora pratico pubblicando anche su Riviste non tanto male …
    Archbold e Ennos (i pionieri della tecnica della fotografia di speckle) in un depliant di congresso li ho visti entrambi con il titolo di Mister …
    Si, ha ragione. Occorre pervenire ad una Docenza solo tramite lavori scientifici bypassando i Concorsi che costano denaro al contribuente e sono vergognose farse. A Salerno avete quella del figlio del Rettore ma anche Modena non ha scherzato in quanto a farse bandendo un concorso ad hoc per “ripescare” un candidato non risultato idoneo a sorpresa nel precedente concorso …
    Meno male che questi “italici soloni” non pretendono più il titolo di “chiarissimo” … sarebbe davvero troppo.
    Riguardo la miglior fortuna di Ugo Facchi a Milano (un ottimo “Mister”), non mi stupisco affatto. Mi permetto di fare (rispettosamente)osservare che la latitudine della città lombarda è più vicina alle latitudini europee, dove quello che conta è ciò che si sa fare bene e non un titolo usurpato o l’appartenenza ad una casta.
    Si parla tanto di 3300 cervelli annui in fuga all’estero, forse perché le doti intellettive, come Darwin insegna, sono legate alla genetica più che al cognome?

  2. Certamente non saranno mai i timbri della burocrazia statale ad attestare il valore effettivo tanto di un umile “servitore dello Stato” (come sono stati non pochi maestri e maestre di scuola elementare) medesimo quanto di un ricercatore universitario magari costretto ad emigrare negli USA per dare il suo contributo all’avanzamento delle conoscenze nel suo campo di specializzazione. E’ noto che proprio il settore della ricerca è quello più trascurato dalla nostra classe politica e che spesso vale di più il cognome del nome per far carriera in certi dipartimenti di certe università. Carriera per modo di dire, ovviamente. Ma un titolo rubato o comprato potrà mai avere lo stesso valore di un titolo costato sacrifici, veglie interminabili sulle sudate carte, ansie e patemi per esami veri e non fasulli? Magari formalmente sì, ma quando la forma non è sostanza e anzi viene adoperata per occultare un vuoto di valore e di valori allora siamo in presenza di una truffa nei confronti del prossimo e
    di sé medesimi. Ora mi chiedo: la nostra Repubblica è fodata sul lavoro o sul raggiro? Sulle carte false o sulla Carta fondamentale?
    Mala tempora currunt.

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