Mercato San Severino: mostra sui rifiuti a Palazzo Vanvitelli

 

Anna Maria Noia

Dal 26 marzo al 2 aprile, la interessante e particolare collettiva d’arte: “Rifiuti in cerca di autore”, ospitata a Palazzo di Città di Mercato S. Severino, rappresentante anche un premio nazionale di pittura e design ad hoc, ha costituito un esempio evidente, chiaro, lampante di come i rifiuti – anche oggi, in questi tristi tempi di emergenza ecologica ed ambientale – possono essere recuperati e addirittura plasmati ad oggetto d’arte, per un uso meno iniquo, più a livello di mentalità “verde”.Il progetto, organizzato dall’associazione “Salerno in arte”, in particolare dai suoi due “epigoni”, Olga Marciano e Giuseppe Gorga, ha potuto godere del patrocinio del Comune – amministrante una realtà, quale quella sanseverinese, foriera di vero attivismo ecologico – ma anche del Lea (Laboratorio di educazione ambientale), della Gesema (società mista di servizi attiva sul territorio), di Legambiente e altre importanti realtà ed associazioni.“L’arte esiste ovunque gli artisti la percepiscano – è scritto sulla brochure inerente tale speciale mostra collettanea – e quindi anche dai rifiuti, dalla spazzatura può nascere – come dal fango – qualcosa di positivo.Già all’entrata della notevole e particolare retrospettiva si è potuto vivere il modus operandi di vari artisti, tutti a nostro giudizio bravissimi, che hanno dato importanza all’ambiente tramite i loro arcani manufatti.E cominciamo con Mario Francese, posto all’ingresso del lungo percorso espositivo: egli “narra”, nelle sue opere, la scalata alla “monnezza”, in un quadro grande situato all’inizio della galleria nel Palazzo (cosiddetto) Vanvitelliano; tutto confluisce in una caleidoscopica e prismatica luce, in un gioco di chiaro e scuro, che spacca quasi il quadro stesso (olio su tela) in due parti: il buio del problema rifiuti (opprimente) e la discesa dalle responsabilità di chi ha causato tutto ciò.Claudio Valentino non è da meno nel tinteggiare la propria “creatura” (nata dalle sue mani di artista consapevole e pragmatico) intitolata “Sogni d’oro”, in tecnica mista e con motivi tutti attinenti appunto l’ecologia, con una piuma di “peso” alla sostenibilità ambientale, che sottende all’effimero della contemporaneità.Sempre in tema di natura – oggi talmente vituperata, tradita, violata – le opere realizzate da Antonio De Chiara: “Explosion” e “Madre Terra”, entrambe in olio su tela, in cui si raffigurano un bambino ignudo in un’esplosione – per l’appunto – di rifiuti e di inciviltà, di regresso; il bambino scivola sulla spazzatura come su una buccia di banana. Madre Terra, invece, o Demetra, è rappresentata da una donna non proprio giovanissima, però giovanile, non bella e tuttavia feconda, gravida, volgente lo sguardo cupo verso il visitatore e tenendo in mano un bidoncino per la (raccolta) differenziata.Importanti e polisemiche le altre opere esposte: tra queste ricordiamo “Come è Tri(e)ste Venezia”, un gioco di parole che affronta – volutamente – il tema dei rifiuti su diversi piani. Per tale rappresentazione si è utilizzato il cartone telato, altro oggetto di riciclo.Gianluca Puglia ha inteso invece raffigurare “La grande ecoballa. Oro (per)colato”, un titolo che esprime un altro evidente gioco di parole. Lucianna Di Stasio, poi, ha esposto in tecnica mista una mummia angosciosa e avvolta di nero, con rivoli smerigliati verdi e pietruzze come sassolini.“Una vita non basta” – scritto in inglese – potrebbe rappresentare, oltre che una mummia, anche – forse – una crisalide che “dovrebbe” rinascere farfalla, quando trionferà l’ecologia.Sabrina Locatelli ha realizzato un semplice ma geniale (nell’intuizione) lampadario di tappi di plastica. Pregevole anche Carmine Provenza, con “Realtà convulsa”, che ricorda il traffico, lo smog e la spersonalizzazione tipici della città. Marta Della Croce si rifà al pittore Hieronimus Bosch, con la sua nostalgia verso i temi quasi “naif” ma arcani di tale pittore. Giovanni Falci ha invece dipinto “Il calvario della natura”, con un paesaggio triste e desolato come Cristo sul Golgota, esprimendo a tratti visivi una metafora, un modo di dire (“il calvario della natura”) neanche tanto lontani dalla realtà.“Women suitcase”, di Bibbiana Tanina Mele è una fantasiosa occasione per toccare con mano borse, bocce-uova e altri manufatti tutti colorati e visti, rielaborati al femminile.Così, è “femminile”, dolce, rilassante “La differenziata di grazia”, da parte dell’autore Antonio Marquez.Coloratissimo Calogero Carbone, con le sue opere iperrealistiche; imperiosa e impetuosa nel suo “nero” è Alessia Ziccardi. Grondanti sangue e fango, percolato, l’opera di Giulio Baistrocchi.Importante, caotico, dispersivo, terribile, ansioso, il tormento ecologico ispiratore di Giuseppe Matera, in “Io differenzio”. Alessandro Calabrese ha quindi proposto un’opera intelligente (come d’altronde tutte le altre, senza distinzioni) ma particolare, arguta, denominata: “Intelligenza/evoluzione”.Giancarlo Aliberti in “Ecothermo” è allucinante, baluginante, con tanti chip, asfissianti ma ordinati.Raffaele Amato è sanguinoso, brutale, coinvolgente nel suo “urlo nero”, intitolato (collage e smalti su tela) “La strage degli innocenti. Massacro a Baghdad.”Il manufatto è del “lontano” (?) 2003.Vincenzo Liguori, invece, ha inteso raffigurare su tela una città distrutta, sgomentante, sconvolgente, ma molto convincente. E’ uno schiaffo, agonizzante, terribile il pennellare di Liguori: egli ritrae un desolato “spettacolo”, mostrato da un imbonitore senza volto, così come è senza volto la gente radunata, assiepata insieme per guardare lo sfacelo.Freudiani anche i manufatti di Valeria Taddei, e di Aldo Di Bello, artificiosi (nel senso non deteriore del termine), preoccupanti, ansanti.Onirico, che colpisce è il quadro “Soffocante crescita”, di Maria Grazia Lunghi, ricco di trepidazione.Rita Manzi è spettacolare, da paura: la sua raffigurazione interpreta uno Zio Sam di America che divora allucinato le persone, viste solo come massa informe, da cui – però – si distingue una figurina in bianco, il tutto “a pancia piena” (titolo del manufatto); una pancia piena di rifiuti e di speranze ormai sopite che non regnano più nell’informe “gregge”.Concreto “Indossa l’arte” di Federica Battistini, in un semplice e ingegnoso intreccio di cinture di sicurezza.Rodolfo Valentino ci suggestiona con “La culla – raccolta differenziata”.Evocativo e carnivoro il “diavolo” ingordo di Pasquale Mastrangelo; nostalgico il quadro “Acque morte” di Eleonora Picariello. Particolare, curioso, bello voluminoso il “Sea of rubbish” (mare di spazzatura) di Francesca Cappi.Sgargiante, coloratissimo l’acrilico su tela (2008) di Giovanni Coscarelli, policromo, allegro.Mitologico e brillante, vivido, ricco il quadro su “Pandora”, da parte di Caterina Galderisi, essenziale e lucido Sebastiano D’Amore.Iridescente, solare, allegra, interessante, vulcanica ed entusiasmante la paziente fantasia della brava e vivace, vivida Antonella Iemmo, di Fisciano, con la sua “Mariposa”.Un nome evocativo, da amarcord, un amore per la natura che si tinge di rosa shocking.Iemmo è delicata, intimistica, pura, pudica nella sua opera esposta alla collettiva.Il suo attaccamento all’arte è senz’altro schietto, sincero, come si evince, come emerge da “Mariposa”, ma certamente anche da tutte le altre sue realizzazioni.Anche Antonio Esposito in “L’immenso” è fantasioso e colorato.Degne di nota e valide le rappresentazioni di una spiaggia con i nostri rifiuti e poi quella spaventosa di Angelo Frabasile.Inquietante, perché realizzata con tantissimi mozziconi di sigaretta (che pazienza, nel raccoglierli!) posti a mo’ di fronde di albero, che assomigliano ai polmoni.Bellissima anche un’altra opera, non descritta con le generalità dell’autore, che raffigurava Napoli come donna adagiata su tanti rifiuti, tanta immondizia, soprattutto – ironicamente – sulle buste della spazzatura della Gs e del Lidl.Minuziosa l’opera di Sabrina Locatelli, simpatica, realizzata con etichette e barattoli.Olga Marciano poi propone alla nostra attenzione l’invecchiamento della natura, vista come un anziano desolato, abbandonato, senza forze né speranze, in grigio.Illuminante il collage di Elena Di Felice.Rita Giovanna Cavicchi è invece naif, ma concreta, simpatica, allusiva nel proporre “Il tris vincente”, titolo della sua creatura artistica; il tris è rappresentato dai bidoni per la differenziazione della carta, della plastica, dell’organico.Anna Fronzino è invece “romantica”, sentimentale, nel mostrare un sole sofferente, che muore, non solo al tramonto ma in mezzo a sacchi neri di immondizia.Giovanni Giordano è speranzoso, romantico, nel mostrare un aquilone bianco che si eleva sui rifiuti.Retrò e padrona dell’arte xilografica è invece l’interessante Dora Zambò. Marco Lupo utilizza in maniera non banale i rifiuti casalinghi da riciclare, rigorosamente anzi: “rigogliosamente”.Leda Siliprandi ci propone un “Caleidoscopio” (questo il titolo del quadro-manufatto) composito, ricco di spunti antichi.Raffaella Corradini Osculati presenta un patchwork-arazzo, a tinte forti, di un cromatismo vivace.Vincenzo Gentile è poetico, lieve nel tratto riguardo “Le ferite della Terra”.Spaziale, triste, malinconica l’opera di Daniela Dumbrava. Donato Landi, con “Paratempesta” è particolarmente arzigogolato, nel senso buono, ma anche mortifico, stranito.Poetico anche “Uno sguardo vuoto”, della brava Anna Fermentino.Ben congegnati, mitici, lirici i quadri di Alfonso Sica, realizzati con grandi Cristiano Verde è razionale, ingegneristico, efficace nel tratteggiare il “Treno calamita”, che attrae i rifiuti stessi. Virgilio Colicino presenta “Attimo fuggente”, in un’atmosfera inquietante, paurosa, orrorifica, in cui ogni cosa è morta. Bello l’abito da sposa di carta velina riciclata.Particolare la trash art di Flavio Rossi, sfizioso il manufatto di Pier Callegarini, con gomme poste a mo’ di mazzo di fiori.Bruciante e dinamico Giovanni Falci, essenziale Gianni De Paoli.Suggestivamente inquietante poi Adalgisa De Angelis, “angelico” (tutto in bianco) Rosario Viscido.Enigmatico Matteo Annunziata.Ben congegnata anche l’opera di Monica Falvella, intitolata “Freud”, e quella di Giancarlo Frezza.