La cultura della vita al posto della morte!

AnnaMaria Noia

Fanno discutere e anzi rabbrividire gli avvenimenti degli ultimi giorni, tra cui – soprattutto – la morte (omicidio? eutanasia “legalizzata”?) della “povera” Eluana Englaro, al pari di quella di Piergiorgio Welby (ma perché la Chiesa gli ha “negato” i funerali religiosi, anche se Welby è voluto morire “dolcemente” dopo tante sofferenze, seppure creando un precedente “politico”, forse calcolato?).Nel mese dedicato alla Vita (quella con la “V” maiuscola: Gesù è Verità, Via e appunto Vita…), cioè proprio febbraio, è disarmante osservare come la vita oggi sia diventata sempre più un “optional”, al centro di discussioni “politiche” (ancora una volta…) o piuttosto pseudopolitiche, per sollevare un polverone su questi temi tanto dibattuti, appunto il “diritto” alla morte “dolce”, non all’accanimento terapeutico o non alle cure più vicine alla sofferenza dell’Uomo e degli uomini. Un polverone alzato appositamente – pensiamo noi e lo scriviamo, anche se non lo si dovrebbe – forse – dire, in quanto commento e non informazione – per distogliere l’attenzione degli Italiani dai (pur meno) gravi problemi economici e finanziari che attanagliano in primis il nostro Paese e quindi che riguardano la situazione di crisi mondiale.Il tema della vita è senz’altro complesso, difficoltoso da definire: chi, mettendosi anche al di sopra del nostro Creatore, può infatti stabilire dove ha inizio e soprattutto dove ha fine la vita? Chi – sia egli medico, legislatore, padre, madre, parente del sofferente e malato stesso – può definire la linea di confine tra la morte e la vita, magari mediante il tanto discusso accanimento terapeutico e/o la “dolce morte”, l’eutanasia?Chi può assurgere a garante della vita stessa? Nessuno, soltanto Iddio…Eppure oggi la questione appare quanto mai delicata, non fosse altro che per il fatto che la scienza ha fatto moltissime conquiste in campo sanitario e medico: la vita stessa si è allungata, e con essa anche la sua qualità; ma comunque si vedono tante scene di bambini africani che muoiono di malattie che nel nostro mondo occidentale sono ormai debellate da anni, e allora: come la mettiamo?I ricchi possono curarsi, i poveri no, almeno secondo il nostro modesto parere, a nostro avviso; la vita si è dunque sì allungata, ma vi sono ancora tante, troppe contraddizioni nel pianeta, tante sperequazioni, moltissime ingiustizie, umiliazioni (sessuali e non; tra quelle sessuali e le violenze gratuite – americane… – ricordiamo quelle perpetrate con abusi di dignità umana ai prigionieri irakeni di Guantanamo, carcere degli orrori che ora il neopresidente americano Obama vuol chiudere – finalmente!È duro, è difficile (un cammino tortuoso) il dialogo politico e non sul tema della vita, anche perché nella mentalità, ora non più soltanto occidentale, bensì mondiale, globale: basti pensare al cosiddetto “controllo delle nascite” – un eufemismo vigliacco – in Cina, che attualmente sta divenendo una potenza commerciale, un gran colosso, come l’India e la sua Bollywood (sic!).Il problema dell’aborto, anche se lo vogliamo definire “terapeutico”, per uccidere tanti piccoli innocenti, delle creature vive e vegete che magari hanno avuto solo il “torto” di poter nascere con handicap più o meno gravi e che quindi vengono tranquillamente “tolti di mezzo”, ricorda le barbarie della strage degli innocenti ad opera di Erode al tempo di Gesù, oppure, per andare un po’ più lontano nel tempo, il gettare i bambini gracili, malati o storpi dalla rupe Tarpea nella Roma antica e particolarmente a Sparta, in Grecia.Nella nostra società “perfettina” (e non perfettibile verso gli insegnamenti del Cristo, come invece dovrebbe essere), ricca di pubblicità false e con volti giovani e felici ricorrenti, con famiglie senza problemi, ma solo sullo schermo, i malati terminali, i vecchi, i portatori di handicap (spesso definiti ipocritamente “diversamente abili”, “disabili”, contro i “normodotati” – parola ancor più brutta di “handicappati”) sono lasciati a loro stessi, sono abbandonati perché non “normali”, perché danno fastidio, perché curarli costa… e perciò li si chiude in case di riposo, quando non li si lascia al loro povero destino.E come accogliere poi i tanti immigrati, sì: i vuò cumprà, che – sventurati – si imbarcano in viaggi “di speranza”, ma effettivamente “senza speranza” approdando sulle coste di una nazione – la nostra – che sembrava un miraggio e che invece è solo un Paese da incubo (almeno per loro)? E – sempre parlando del tema della vita – come giustificare i violentatori, siano essi stranieri o italiani – che con i loro squallidi comportamenti distruggono fisicamente e ancor più psicologicamente donne (ma non solo) e bambini (per ciò che concerne i pedofili)? Oppure che dire dei boss della camorra o della mafia che continuano imperterriti a uccidere e a bagnare di sangue le nostre strade, le nostre cittadine, in cui ormai non possiamo stare tranquilli?O degli ubriachi che

insanguinano con una scia di morti e feriti gravi le vie automobilistiche dei nostri centri abitati? Il discorso non si esaurisce certo qui, ma vogliamo ora terminare perché altrimenti verrebbe lo sconforto a tutti, parlando della vita così come la abbiamo in un certo qual senso “dipinta”, a tinte fosche; ma esistono tante persone caritatevoli e tanti istituti di recupero (per differentemente abili o per bambini e adulti in difficoltà), tanta gente, come quella famiglia – vista in tv – che ha adottato un ospite di un manicomio, che veramente ama la vita altrui quanto la propria e questi sono gli esempi da seguire.