La lezione dei Longobardi raccontata da Marco Salvador

 

Mariantonietta Sorrentino

 

Una “gens” dai nomi strani, un regno venuto dal Nord, un “Princeps” molto amato che scelse Salerno come capita, che vi si ritirò ed oggi la osserva dall’alto del colle Bonadies, seguendone le vicende,silente da secoli. Per accorgersi di questo “genius loci” basta passeggiare diligentemente nel centro storico, lungo via Giudaica o via Pietra del Pesce, per esempio,dove volle costruirsi quella magnifica Reggia restituita alla memoria in seguito al sisma dell’80, formidabile occasione per le campagne di scavo conseguenti e le testimonianze architettoniche di un passato che riaffiora,inesorabile,quando si indaga nel sottosuolo. Palazzo del potere arechiano, poi divenuto S.Pietro a  Corte, che impressionò perfino gli ambasciatori di Carlo Magno grazie ad un cerimoniale ben studiato. Roba da scenografi di razza o da politici accorsati. Solo una oligarchia culturale, tuttavia, è conscia del debito che la “Hippocratica Civitas” di ieri e di oggi  ha contratto verso il longobardo Arechi e, di più, verso Adelberga,la dotta figlia di re Desiderio che alla morte del marito Arechi continuò la sua politica, supportando il fratello Adelchi durante il suo esilio. Lei, sorella della più celebre Ermengarda, discepola del carismatico Paolo Diacono, principessa longobarda che volle per Salerno l’acquedotto, quel Ponte del Diavolo che cavalca ancora via Nizza,a garantire il rifornimento idrico a parte del centro storico. Per addentrarsi con agilità felina in una fascinosa civiltà longobarda, per sentirla addirittura propria bisogna seguire un’altra strada ed affrontare la lettura dell’opera di Marco Salvador. Friulano “doc” , il Nostro ha dedicato parte della sua vita ad un atto di giustizia a tutti gli effetti, utilizzando gli strumenti della penna e della ricerca storica. In tre dei suoi fortunati romanzi si spalma la presenza che, più di ogni altra, ha costruito il Medioevo della penisola e che, come sublime canto del cigno, trasformò Salerno nell’ultima isola longobarda di Italia, quella “Langobardia minor” , nata dal trasferimento in città della capitale da una Benevento ormai minacciata. Intendiamoci, l’opera di Marco Salvador è testardamente storica, riconosciuta valida dal fior fiore degli studiosi dell’Alto Medioevo e, ciononostante, stimolante per incedere e per ambientazione, fantasiosa quanto basta. Un menù equilibrato e digeribile che compone una trilogia: “Il Longobardo” , “L’ultimo longobardo” e “La vendetta del longobardo”, tutti editi da Piemme. L’autore sarà presente a Napoli il 6 febbraio prossimo all’ Università  Suor Orsola Benincasa per parlare agli studenti di longobardi e romanzo storico. Per l’occasione l’Istituto di Archeologia pubblica un racconto dello stesso Salvador ambientato nell’abbazia di S.Vincenzo al Volturno. “Scrivo del passato per parlare più liberamente del presente”, dichiara senza esitazioni Marco Salvador alle prese con la sua ultima fatica letteraria, conscio di deludere coloro che cercano eroi nelle sue opere. Amati da coloro che desiderano immergersi nel “milieu” culturale dell’Alto Medioevo,  i suoi romanzi possiedono la “verve” dei “plot” avvincenti e l’ accuratezza delle cronache storiche in una sorta di “coniugatio oppositorum”.