Al Verdi “La vedova allegra ” con Oren e Salemme

Al Teatro Municipale Giuseppe Verdi, domenica 21 dicembre, in scena “La Vedova Allegra” dirige il maestro Daniel Oren, con la regia di Vincenzo Salemme. E’ Napoli, e Parigi, la cornice di questa Vedova Allegra sapientemente guidata dalla mano di un regista di eccezione: Vincenzo Salemme che così descrive la sua esperienza “La mia intenzione era ed è quella di accompagnare gli spettatori ad una festa di suoni, di luci e di colori.Sono i giorni di Natale. I giorni dove ogni cosa sembra ridere alla vita. I giorni della speranza e dell’allegria. Spero che questa Vedova Allegra sia per voi una felice sorpresa.E, rivolto al direttore della stagione lirico-sinfonica del Teatro Verdi, Daniel Oren: “….credo di non offendere il gigantesco (nella statura fisica, ma soprattutto in quella artistica) genio degli spartiti, il mio amico Daniel Oren, se affermo che la sua direzione magnetica e funambolica, il suo dialogo costante e fitto con i musicisti, i cantanti e con il pubblico, sembrano perfetti per questa mia messinscena. Daniel si fa attore, dando la sensazione di “interpretare” il suo ruolo”. Così, domenica 21 dicembre, parte questa avventura al Teatro Verdi che, per cinque serate (due fuori abbonamento, alza il sipario sulla Vedova Allegra. Nella “Vedova allegra” dell’ungherese Franz Lehár, egli presenta il suo capolavoro in cui agiscono uomini e donne dotati di passioni umane, inclinando ormai il genere, in maniera  spiccata, nella sua ultima fase, verso la pura evasione sentimentale. Il 28 dicembre 1905 andò in scena a Vienna al Theater an der Wien  con il titolo originale “Die Lustige Witwe” riscuotendo un gran successo di pubblico malgrado la iniziale sfiducia espressa dal direttore del teatro, Karczag,. L’operetta  risultò invece  uno dei più clamorosi successi di tutti i tempi. Il libretto di Victor Léon e Leon Stein tratto da un disusato vaudeville di Henri Meilhac “L’attaché d’ambassade” del 1861, avrebbe dovuto essere musicato da Richard Heuberger, il quale non vi aveva però trovato alcun motivo di ispirazione. Ecco così che il segretario dell’an der Wien, Steininger, aveva pensato al giovane Lehár, noto a Vienna per il successo ottenuto nel ’98 con l’operetta “Der Rastelbinder”. Egli  ne fu subito entusiasta. Il soggetto presentava la giusta dose di situazioni divertenti e sentimentali, di istanze e momenti diversi, farciti di classe e di buon gusto che il musicista riteneva doti essenziali per un libretto di tale genere. Siamo in piena Belle époque, in quel vertiginoso clima di esuberanza e spensieratezza, di sentimentalismo ed erotismo, che caratterizzarono l’epoca di decadenza immediatamente a ridosso dello scoppio della prima guerra mondiale che avrebbe di lì a poco sancito la fine dell’impero austro-ungarico, al suono di galop, polke, valzer e mazurke. L’ambientazione della storia è a Parigi, città mitica nell’immaginario del tempo, luogo dell’anima, concentrato di “intelligenza, poesia e piacere” in cui era dato dileguare in un clima mondano e di festa i riferimenti a principi, corpi diplomatici, ministri plenipotenziari che si muovono nella vicenda. La storia dell’allegra Anna Glavari, vedova di un ricco banchiere del Pontevedro (piccolo immaginario stato localizzato nei Balcani) che l’ambasciatore pontevedrino Zeta cerca di far sposare con il Conte Danilo per evitare che ella, cedendo alle lusinghe di corteggiatori parigini, conduca alla fuoriuscita di un ricco patrimonio dallo stato di origine, dà il via al dipanarsi di tutto l’intreccio tra feste mondane e balli, sul cui sfondo si svolgono le schermaglie, le seduzioni, i giochi amorosi della coppia affiancata da un’altra ipotetica coppia costituita da Valencienne, moglie di Zeta, e Camille de Rossilllon suo corteggiatore.