Cilento: una volta Natale…

     MariaPina Cirillo

Stretto tra un mare che sembrava un’acquamarina pura che luccicava sotto il sole e montagne alte e  scoscese che si innalzavano verso il cielo come se avessero voluto toccarlo, c’era una volta…..il Cilento. Qui, tra  boschi di querce e castagni, colline coperte di vigne e di ulivi, aie su cui il grano trebbiato sembrava un mare di oro fino,  valli e fiumi e dirupi che rendevano unica questa terra, c’erano cento paesi e paesini aggrappati ai fianchi dei monti, stesi sulle colline, addormentati vicino al mare, accoccolati vicino ai fiumi. E nelle case c’erano bambini, giovani, donne e uomini maturi e non soltanto vecchi ad aspettare il tempo che passa. In questa terra di palazzi e di catapecchie, di baroni e di briganti c’erano tante feste: ma la più bella di tutte  era Natale. Allora il Natale non durava un giorno ma almeno un mese. L’attesa iniziava molti giorni prima e, all’Immacolata, le persone già si preparavano per la festa. Il tempo correva e sembrava scappare di mano e, tra le ore passate a preparare i dolci o a raccogliere legna per il falò e le serate trascorse a giocare a tombola in tutte le case, all’improvviso era già Vigilia. Era giorno di astinenza, perciò a tavola c’erano piatti di magro  come il baccalà, la minestra stretta, la ciaula. Parenti e amici si riunivano per aspettare insieme la mezzanotte: giocavano a tombola o facevano cunti vicino al focolare mentre da un angolo veniva il profumo delle arance, dei mandarini e delle mele appese alla frasca. Perché quello era l’albero di Natale: una frasca di elce o di quercia infilata in un vaso di terracotta. E sotto, appoggiati tra sughero, pietre e muschio i pastori di creta spesso fatti in casa, formavano il presepe. Quando era ora tutti andavano a cambiarsi per andare alla Messa di mezzanotte. Gli uomini  mettevano il vestito  buono, i bambini erano infagottati nei loro abitini migliori, le bambine avevano grandi fiocchi a legarle le trecce mentre le donne esibivano il vestito nuovo cucito in casa nei ritagli di tempo. La chiesa era piena, l’organo suonava, l’incenso profumava l’aria e il presepe della chiesa, con la Madonna, san Giuseppe, gli angeli e i pastori comprati a Napoli, sembrava chiamarti. Si faceva la Messa cantata,  le campane  suonavano  a gloria e, a mezzanotte, nasceva Gesù. La mattina di Natale, mentre le donne erano affaccendate in cucina, i bambini andavano a baciare la mano a tutti, incominciando dai nonni; poi uscivano e andavano in giro per le case di amici, parenti che gli facevano la ‘mberta, mentre per le vie del paese il suono delle zampogne rallegrava il cuore. Le case, piene di mille odori, erano così affollate da potersi muoverti a stento e sulla tavola, preparata con la tovaglia della festa, c’era di tutto: fusilli al sugo di castrato, conigli imbottiti, capretti cotti alla brace, tacchini rosolati. I dolci, poi, erano una gioia per gli occhi. C’erano nocchetelle fritte, zeppole passate nello zucchero profumato con la cannella, corone di struffoli impastati di miele e ricoperti di pinoli, panzarotti con le castagne e certi scauratielli che erano una meraviglia.